senza sforzo

Tutta la vita in uno schiaffo

Lo schiaffo di Will Smith vi ha stancati, lo so, ma c’è così tanto ancora da dire… E non possiamo trincerarci dietro all’adagio bacchettone del “sono fatti suoi, lasciatelo stare” e “poverino”, perché il lavoro del VIP è quello di fare il VIP, nella buona e nella cattiva sorte. I suoi video motivazionali, per esempio, gli hanno portato un sacco di visibilità in più, comprata da noi con il nostro tempo e incassata da lui al botteghino, e così purtroppo va la gloria di questo mondo: su e giù. Ecco perché oggi ho scoperto una cosa e volevo condividerla con voi, una cosa pruriginosa, ma importante per chi ha un interesse genuino nel cercare di capire come diavolo fa un attore di quel livello, una star di quel calibro, a rovinare il momento più alto della sua carriera (e della sua vita) con 15 secondi di blackout.
Ma andiamo con ordine, per gli amici che si sono collegati adesso e non hanno seguito tutto in diretta come noi altri social-addicted. Cos’è questa storia di WIll Smith? Cosa è successo agli Oscar?
Presto detto. L’Academy, l’associazione che assegna i Premi Oscar e alla quale sono iscritti milioni di artisti che votano per se stessi e per gli altri per l’assegnazione dei vari premi, ha ingaggiato come presentatore per l’edizione 2022 tale Chris Rock, comico dall’ironia discutibile, ma con un pubblico e un fandom decisamente ampio (è la regola dei Vanzina, secondo la quale più sei verace, più gente porti al cinema o a teatro: la società si è sempre livellata verso il basso, sin dai tempi del panem et circensem, e potrei citarvi Gustave Le Bon, ma vi basta seguire una votazione qualsiasi in parlamento). Durante la serata, molto simile a una cena di gala, con passerelle, lustrini e regali agli ospiti dal valore unitario pari al mio stipendio annuale, Rock ha fatto una battuta, tra tutte le altre, sul nuovo taglio di capelli della moglie di Will Smith, entrambi seduti nella prima fila. La battuta, improvvisata, non scriptata e quindi non provata né approvata prima dall’Academy, ha fatto ridere quasi tutto il pubblico – dal palato, mi verrebbe da dire, non così raffinato come ci si aspetterebbe da molti di loro (star di Hollywood più o meno impegnate anche socialmente). “Jada”, ha detto il comico rivolgendosi all’attrice, “io ti amo/ti voglio bene. E non vedo l’ora di vederti nel seguito di Soldato Jane”. Letteralmente: “che bella con quel taglio di capelli, rasata quasi a zero, somigli molto a Demi Moore in quel film in cui interpreta una soldatessa e per protesta si rasa i capelli a zero”.
Copio e incollo la trama a vostro uso e consumo direttamente da Wikipedia, anche per contestualizzare meglio la battuta:
“Soldato Jane (G.I. Jane) è un film statunitense del 1997, diretto da Ridley Scott.
Il titolo originale si basa su un gioco di parole tra G.I. Joe e il nome della protagonista.
Trama: Un comitato per i servizi armati del Senato intervista un candidato per la carica di segretario alla Marina e la senatrice del Texas Lillian DeHaven decide di usare un doppio standard per il programma Navy SEAL delle squadre di ricognizione combinata. Questa decisione comporta la selezione di una pioniera tra le tante candidate.
Viene scelta Jordan O’Neill, tenente della Marina, analista topografica che lavora alla N.I.C. (Naval Intelligence Centre). L’addestramento comporta tre mesi devastanti sotto il comandante istruttore capo. Essendo una donna viene agevolata negli esercizi, ha una camera singola e tutti sono scettici e prevenuti nei suoi confronti, ma Jordan si ribella, radendosi a zero la testa. La perdita dei suoi capelli simboleggia l’inizio di una nuova vita, quella del soldato Jane, che si integra con il gruppo e risulta migliore di molti altri uomini.
I test attitudinali sarebbero dovuti essere riservati, invece la stampa ne viene a conoscenza rendendo Jordan un manifesto dei diritti delle donne, chiamandola “Soldato Jane”. A questo si aggiungono maldicenze a sfondo sessuale che la costringeranno ad abbandonare l’addestramento. Jordan si batterà, anche contro la senatrice, e riuscirà a cambiare la politica delle donne nel combattimento dimostrando che il “gentil sesso” non vale meno degli uomini. Sarà così inviata in missione in combattimento”.
Quindi: J.I.Jade (questa la battuta in lingua originale di Chris Rock) è un altro gioco di parole che richiama il gioco di parole già messo in atto dai produttori del film con Demi Moore quando ne hanno scelto il titolo e, soprattutto, intende paragonare Jada Pincket Smith non solo a un ficone come Demi Moore ma anche a un personaggio positivo, un’eroina da cui molte donne, probabilmente, nel 1997 hanno persino tratto ispirazione.
Sicuramente avrete notato che anche Will Smith ha riso alla battuta di Chris Rock, insieme al resto della platea, e ha continuato a ridere finché non si è accorto dello sguardo della moglie, la quale non solo non ha riso ma è sembrata pure infastidirsi.
È a quel punto che scatta qualcosa nella testa del Principe di Bel-air, che si alza, sfila con la mano nella cintura come un cowboy del selvaggio west, fronteggia un sorpreso ma ancora divertito Chris Rock e, alla fine, gli molla un pugno che solo a pochi millimetri dal volto del malcapitato si apre in una manata. Chris Rock rimane composto, anzi, continua a ridere e a far ridere la platea con un paio di “o-ho!” e una battuta reattiva.
Nota1: fossi stato al suo posto mi sarei messo a piangere e sarei corso via: avete visto quanto è grosso Will Smith, sì?
Will torna al suo posto, pollice ancora nel cinturone, e rivolge per ben due volte un avvertimento poco, come dire, educato, al tizio che ha appena picchiato: “Non pronunciare più il nome di mia moglie, cazzo!”.
Il comico: “Ma l’hai capita la battuta? G.I.Jade… G.I.Jane… Era un gioco di parole!”
Will: “Non pronunciare. Più. Il nome. Di mia moglie. CAZZO!”.
Il comico: “Ok, non lo farò”.
La cerimonia riprende, il comico dice solo qualcosa come “Il miglior show televisivo degli ultimi tempi”, incassa delle risate meno fragorose e poi torna a presentare i premi, menzionando un documentario a cui, ovviamente, nessuno si interesserà dopo quello che ha appena visto.
Nota2: la regia dell’evento ha abbassato prontamente il volume dei microfoni, dopo lo schiaffo, ma nelle dirette fuori dai confini americani la voce dei due comici è stata ricevuta e quindi registrata, motivo per cui anche noi abbiamo potuto conoscere le esatte parole delle due star.
Durante lo stacco pubblicitario, alcuni amici di Smith lo hanno abbracciato e consolato. Già. Il picchiatore è stato consolato per aver picchiato. Si intravede, nei video dei fuori onda, qualche lacrima sul volto di Smith e due attori famosi che lo abbracciano e tengono per le spalle. Poi tornano tutti a sedere e lo show ricomincia.
Pochissimo dopo, Will Smith viene premiato per la prima volta con l’Oscar come migliore attore, il secondo premio più importante della serata dopo quello per il miglior film, momento in cui la sala si alza omaggiandolo con una standing ovation e lui, tra molte lacrime, si scusa per il suo gesto – con tutti tranne che con Chris Rock, e soprattutto si scusa con L’Academy, ringraziandola per tutto, compreso, immagino, la scelta di non farlo accompagnare fuori dal teatro, di non denunciarlo e di non avergli negato l’Oscar. Will racconta inoltre che, nella pausa, l’amico Denzel Washintgon gli ha detto: “Nel momento più alto della tua carriera, è lì che il diavolo ti tira per la manica”. Una cosa così. Denzel è molto religioso, lo ha raccontato lui stesso in una recente intervista.
Il giorno dopo, appurato che il comico ha rinunciato a sporgere denuncia per aggressione, l’Academy odora i social e capisce che deve intervenire: annuncia infatti di avere aperto una indagine interna e che saranno prese tutte le decisioni che lo statuto dell’Accademy prevede in casi come questo. Inoltre condanna il gesto e la violenza in generale. Pochi minuti dopo, l’attore si scusa con Chris Rock via twitter e il giorno dopo si dimette dall’Academy.
Nota3: Durante il suo discorso di ringraziamento, Will Smith parla del ruolo che gli ha appena fatto vincere il premio, un biopic sulla famiglia di due tenniste campionesse mondiali il cui padre, Richard, secondo Will, che lo ha interpretato egregiamente, ha fatto di tutto per difendere i suoi cari. Cosa che, sottintende Will, anche lui ha fatto con quello schiaffo. Il vero Richard, il giorno dopo, prenderà le distanze dal gesto e dalle parole dell’attore.
Tacciamo dunque sulla logica machista e anacronistica del marito che difende la moglie nel suo onore con la violenza: ne abbiamo parlato a sufficienza tutti fino a ieri.
Quello che a me interessa oggi non è più, come nei giorni scorsi, l’aspetto comunicativo: il modo in cui ognuno di noi ha interpretato l’evento – pubblico come, ricordo ancora una volta, l’intera vita dei due attori, e quindi accessibile a tutti. Quello su cui voglio soffermarmi adesso è invece l’aspetto psicologico di un crollo del genere: oh, Will Smith, nel giorno della sua consacrazione, manda tutto a puttane per un moto incontrollabile di rabbia! È questa la cosa più stupefacente di tutta la faccenda.
Allora prendiamo la biografia di Will Smith, appena terminata, e copincolliamo da un articolo di Vanityfair.it:
“Nell’autobiografia, di cui il settimanale People anticipa qualche estratto, il cantante attore 53enne ripercorre gli episodi più salienti della sua vita, indicando quelli che più di tutti lo hanno segnato nelle diverse fasi della sua esistenza. A partire da quell’episodio di violenza domestica al quale ha assistito quando era ancora solo un bambino.
«Avevo nove anni quando vidi mio padre colpire mia madre alla tempia così forte da farle perdere conoscenza», scrive nel capitolo dedicato alla sua infanzia. «Il momento in cui l’ho vista sanguinare, in quella camera da letto, è stato probabilmente quello che, più di ogni altro nella mia vita, ha definito chi sono oggi». Da allora, racconta l’attore, un forte senso di colpa lo ha accompagnato e lo accompagna costantemente: «Tutto quello che ho fatto nella mia vita – ogni successo, ogni premio, ogni riconoscimento, ogni risata – è stato per me un modo per chiederle scusa per quel giorno, per non essermi opposto a lui e per aver deluso lei. Il mio successo è stato il mio modo per farmi perdonare l’essere stato un codardo e tutti i miei personaggi erano un modo per nascondere al mondo quel codardo».
Questo senso di colpa costante, dice l’attore, lo ha portato anche a essere estremamente perfezionista, una caratteristica che però riconosce di aver ereditato da quel padre alcolista tanto temuto: «Mio padre era violento e alcolizzato, ma era sempre presente. Veniva a ogni première di ogni mio film e arrivava sempre sobrio. Ha ascoltato ogni album e visitato ogni studio di registrazione. Era un perfezionista. Quello stesso intenso perfezionismo che ha terrorizzato la sua famiglia, mi ha dato da mangiare ogni giorno della mia vita».
William Carroll Smith Sr e Caroline Bright si sono separati quando la star di MiB era adolescente, ma anche da adulto, nonostante non abbia mai interrotto i rapporti con il padre, l’attore non è riuscito a superare il trauma della violenza cui aveva assistito da bambino, tanto da arrivare a pensare addirittura a un gesto estremo. È accaduto quando l’uomo, ormai anziano, si è ammalato (è venuto a mancare nel 2016): «Una notte, lo stavo accompagnando in bagno sulla sua sedia a rotelle e mi sono fermato davanti alla rampa di scale che incrociava il tragitto tra la sua camera e la toilette. In quel momento mi sono ricordato la promessa che mi ero fatto da bambino: che un giorno avrei vendicato mia madre. E ho avuto l’istinto di farlo cadere giù per le scale. Bastava farlo scivolare giù e sarebbe finita lì, senza conseguenze. Chi mai avrebbe pensato che l’avevo fatto apposta?» confessa nel memoir l’attore: anni di dolore, rabbia, risentimento che si erano sedimentati e nascosti, erano all’improvviso riemersi tutti insieme. «Per fortuna, è stato solo un attimo, quando sono ritornati negli abissi, mi sono scosso e ho proseguito verso il bagno in silenzio»”.
Allora, mi avventuro in una lettura psicoanalitica spicciola, da bancone del bar, diciamo così, e chiedo agli psicologi e psicoanalisti che stanno leggendo di venirmi incontro, correggendomi, confutandomi o aiutandomi meglio a capire.
Da Freud in poi, abbiamo capito che dentro di noi c’è un posto in cui si annidano pensieri che non sappiamo nemmeno di pensare, traumi che non ricordiamo più o non ricordiamo bene e desideri e istinti repressi che premono per uscire alla prima occasione. Sappiamo che la cosiddetta nevrosi è una condizione di sofferenza della psiche collegata a disturbi più o meno evidenti che si estrinsecano con diversi sintomi, dall’ansia alla labilità emotiva fino alla conflittualità interiore. La nevrosi è caratterizzata inoltre da una origine inconscia e dalla cosiddetta coazione a ripetere: ciascuno di noi tenderebbe a riproporre, nel suo presente, gli schemi, le strutture e gli eventi che lo hanno segnato nell’infanzia.
Durante una trasmissione seguita da milioni di persone, Will Smith ha appurato dalla moglie Jade di essere stato tradito (il video è su YouTube, andatevelo a guardare, se vi va) e, successivamente, la coppia ha fatto sapere di avere vissuto un periodo di poliamorosità o relazione aperta. La storia tra i due è tra le più pubbliche di Hollywood e, da quello che sappiamo, entrambi stanno lottando per farla funzionare, nonostante i problemi normalissimi che le normalissime coppie incontrano durante una lunga relazione: scosse di assestamento, tentativi di riequilibrare un rapporto magari logoro, il continuo investimento nell’obiettivo comune che può essere rappresentato dai figli, dall’affetto o dall’idea stessa che ne hanno dell’amore laddove, forse, l’amore non basta all’amore.
Nelle sue memorie, Will descrive chiaramente il suo conflitto interiore: non essere riuscito a difendere la madre dalle violenze del padre e non essere mai riuscito – per fortuna – a vendicare quelle stesse violenze. Smith dice di se stesso, più volte, di essersi sentito un codardo.
Ritengo dunque possibile che, durante gli Oscar, sia stato innescato quel meccanismo di ripetizione coatta che è proprio della nevrosi, che segue anche per tutta la vita il riverbero di un trauma infantile mai trattato, affrontato o accettato. Suppongo che, voltandosi a guardare la moglie e notando lo sguardo deluso di lei di fronte alla risata del marito alla battuta sulla sua alopecia – battuta che per molti commentatori è paragonabile a una violenza vera e propria, una violenza, appunto, psicologica – Will abbia rivissuto, in un momento di poca lucidità caratterizzato dalla tensione di stare per toccare la vetta più alta della sua carriera, e di qualsiasi carriera hollywoodiana, quell’atavico senso di colpa. Credo, ecco, che il Will Smith che si è alzato ed è andato a fronteggiare il comico con quell’andatura da bullo delle scuole medie altri non fosse che il Willie bambino il quale, di fronte alla ennesima angheria contro la madre (o il suo surrogato, la moglie Jade), ha finalmente trovato il coraggio di agire, di difenderla, di restituire la violenza con altrettanta violenza.
Se quello che ho appena scritto vi ha turbato, sappiate che c’è una vasta letteratura a sostegno di questi ragionamenti. Ognuno di noi può farne esperienza, semplicemente fermandosi a riflettere durante un momento di rabbia, di frustrazione, di antipatia verso qualcuno, e cercando dei tratti somiglianti – se non incredibilmente somiglianti – con alcuni eventi o persone della nostra infanzia, primi fra tutti i nostri genitori e fratelli.
Ma a cosa serve una analisi del genere? A giustificare il gesto? Giammai: ognuno è responsabile delle sue azioni, anche se non ne è consapevole, anche se è il proprio inconscio a muoverle dal profondo. Così come è responsabile di omicidio un ubriaco che mette sotto un pedone uccidendolo. La giustizia potrebbe accogliere la cosiddetta “temporanea infermità mentale”, ma non può in alcun modo agire sui sensi di colpa e di vergogna.
Ma questo genere di analisi ci aiuta a capire anche come, a qualsiasi livello ci troviamo, siamo davvero tutti uguali. Ricchi, poveri, talentuose star di Hollywood o barboni che bivaccano sulle panchine del parco, geniali scienziati e premi Nobel o pigri studenti universitari fuori corso. Spesso, basta un momento di rabbia non previsto, un evento incontrollato come può essere una banale per quanto discutibile battuta sull’alopecia di nostra moglie, a scatenare il demonio inconscio che alberga in noi e di cui, prima o poi, dovremo occuparci. Non a caso, Will Smith ha proprio annunciato in questi giorni di voler lavorare su se stesso: questo evento disastroso, paradossalmente, potrebbe avere per lui un effetto positivo, avendo portato la sua attenzione, finalmente, su un trauma potente a lungo trascurato o ignorato.
Nota4: Non voglio difendere Chris Rock, il quale, sinceramente, non mi ha mai fatto ridere, ma difendo la libertà di satira e quella di scherzare su qualsiasi cosa, persino le malattie, la morte, la guerra, come si è sempre fatto. Perché la vita è un gioco, per quanto sacro – come diceva qualcuno -, e non va presa così seriamente. Quando una malattia grave – o meno grave come l’alopecia – ci coglie, possiamo decidere se lamentarcene e vivercela da vittime, oppure scherzarci e rimediare una sana risata. Ho conosciuto molte persone ammalate, alcune delle quali alla fine dei propri giorni, capaci di scherzare sul proprio dramma. E ci sono moltissimi studi che collegano la risata a una maggiore efficacia nel processo di autoguarigione del corpo umano, oltre che sottolineare l’attività coadiuvante nelle terapie farmacologiche. Il famoso pensiero positivo.
Inoltre c’è la possibilità che Chris Rock, che aveva lavorato con entrambi gli attori e che proprio da Jada aveva ricevuto un endorsement quanto era stato scelto nel 2016 per condurre la sua prima edizione agli Oscar, non sapesse della malattia di lei e avesse solo voluto scherzare su quel taglio di capelli, inaspettato ma, come si evince dal paragone con Demi Moore, apprezzato. Io, che a volte sono un ottimista, tradurrei la sua battuta così: “Ehi, jade, con quel nuovo taglio sei ancora più figa”. Ma ogni tanto sono pessimista – e nevrotico – anche io, quindi lungi da me giudicare ciascuno di loro. Anzi, se questa è l’impressione che vi ho dato, scrivendo questo fiume di parole, me ne scuso.
Perché il mio sogno è volervi bene a tutti, a voi, a Will, a Chris, a Jade e persino a Putin, il quale, sono sicuro, non sa davvero quello che fa*.
A presto,
Saso
*Al di là del bene e del male, direbbe Nietzche. Non dividerei il mondo in buoni e cattivi, ma semplicemente in saggezza e ignoranza. Dove per saggio non intendo colto e per ignorante non intendo stupido o incolto. Saggio è chi conosce se stesso – e quindi il mondo – e ignorante è chi, invece, potrebbe persino essere convinto di conoscere entrambi e invece proprio non è così.

Salvatore “Saso” Tigani è un giornalista, scrittore e autore umoristico. È diventato famoso con Come sopravvivere ai Calabresi, ma ha scritto anche cose belle. Alcuni suoi racconti hanno vinto importanti premi letterari e compaiono in raccolte e antologie nazionali. Però è astemio.