AUTO-AMNESIA STRATEGICA – Perché devo sempre spiegarmi da capo?

Ogni volta è come la prima.
Ogni conversazione, ogni confronto, ogni parola detta… svanisce.
C’è chi te lo dice apertamente:
“Ma non me lo avevi già detto?”
E poi c’è chi lo pensa in silenzio, mentre tu parli con un nodo in gola, ripetendo la stessa storia, la stessa fatica, la stessa verità – ancora e ancora.

La frustrazione invisibile di chi viene dimenticato

Hai mai avuto la sensazione che le persone intorno a te soffrano di un’amnesia selettiva?
Che ricordino tutto tranne le parti più vere, più scomode e più vulnerabili di te?
Hai mai pensato di essere tu quello sbagliato, troppo sensibile, troppo insistente, troppo “pesante”?

Fermati un attimo. Non sei solo. E, soprattutto, non sei pazzo.

Non è cattiveria. È una strategia.

Potremmo chiamarla auto-amnesia strategica.
Non è un termine clinico (non ancora almeno), ma descrive bene un meccanismo reale e documentato in psicologia: una forma di dissociazione protettiva, che il cervello attiva per non affrontare qualcosa che farebbe troppo male o che costringerebbe a cambiare ruoli, abitudini, gerarchie relazionali.

Vediamo insieme quattro chiavi di lettura per comprendere questo fenomeno.


1. La memoria episodica si spegne quando un fatto è “scomodo”

Il neuroscienziato Endel Tulving, tra i più autorevoli studiosi della memoria, ha distinto due forme principali:

  • Memoria semantica: ciò che sappiamo, in modo generale e astratto.
  • Memoria episodica: ciò che abbiamo vissuto in prima persona e riconosciamo come parte della nostra storia.

Il punto è: se un evento non viene codificato come “personale” o “rilevante”, il cervello non lo immagazzina a lungo termine.
Quindi, se racconti una tua fragilità, ma l’altra persona non la integra nella sua immagine di te, semplicemente… la dimentica.

Esempio: sei malato da anni, ma un amico continua a trattarti come se fossi perfettamente in forma?
Nella sua narrativa, tu sei “quello forte”. Quel dettaglio stona. E allora via, rimosso. Come un file temporaneo cancellato dalla RAM.


2. Le famiglie (e i gruppi) disfunzionali resettano la memoria per non implodere

In psicologia sistemico-relazionale esiste una dinamica nota come “negazione collettiva”: una forma di autoinganno di gruppo usata per difendere l’immagine ideale del sistema familiare o sociale.

In parole semplici:

“In questa famiglia va tutto bene. Punto.”

Se qualcuno alza la voce, si ammala, denuncia un’ingiustizia, protesta…
viene “dimenticato” con estrema rapidità.
Non perché non conti, ma perché ricordarlo significherebbe ammettere che qualcosa non funziona.
E allora meglio azzerare, negare, fingere che non sia mai successo.
Per proteggere il mito collettivo.


3. La dissociazione come difesa psichica automatica

In psicotraumatologia – in particolare nei lavori di autori come Bessel van der Kolk e Judith Herman – la dissociazione è considerata un meccanismo di sopravvivenza.

Quando un evento è troppo doloroso o incoerente con l’immagine di sé o dell’altro, la mente lo isola.
Viene archiviato senza connessioni, come un file corrotto.

Così accade che:

  • tu abbia un crollo emotivo la sera prima;
  • e il giorno dopo… vieni trattato come se nulla fosse.

Perché?
Perché riconoscere il tuo dolore costringerebbe l’altro ad attivare empatia, cambiamento, responsabilità.
E non sempre può (o vuole) farlo.


4. La tua verità li obbligherebbe a cambiare. E non vogliono.

Ed eccoci al punto più scomodo.
Molti non vogliono davvero sapere come stai, ma solo sapere che non sei un problema.

  • Se stai troppo male, li costringi a occuparsene.
  • Se stai troppo bene, li metti in crisi.
  • Se sei troppo autentico, gli spezzi le difese.

E allora? Ti ascoltano. Annuiscono. Ti dicono “mi dispiace”…
Poi dimenticano tutto.
Non perché non gli importi, ma perché il tuo dolore li costringerebbe a guardarsi dentro, a mettere in discussione il loro ruolo o la loro indifferenza.

E questo, per molti, è troppo.


Allora che si fa?

Non si tratta di arrendersi. E nemmeno di diventare cinici.
Si tratta di proteggere la propria energia mentale ed emotiva, evitando di sprecare amore, parole e verità in loop infiniti e sterili.

Ecco alcune strategie concrete:

Smetti di spiegarti da capo.
Hai diritto a dire: “Te l’ho già detto. Fidati.”

Riconosci chi ti ascolta davvero.
Se qualcuno ricorda da solo una tua fatica, un tuo dettaglio, una tua paura…
è oro. Tienilo stretto.

Tieni un diario delle verità dette.
Non per loro. Per te.
Per ricordarti che sei reale, che l’hai detto, che non ti sei inventato nulla.

Accetta che alcune persone abbiano una RAM limitata.
Non è colpa tua se ogni volta ti tocca il tutorial iniziale.
È colpa del loro sistema operativo. Che magari è vecchio. O pieno di bug.


Una frase da ricordare:

“Non sono io che devo spiegarmi meglio. Sono loro che non vogliono capire.”

Se ti risuona questa storia, sappi che non sei solo.
Siamo in tanti. Stanchi di relazioni che non trattengono memoria.
Alla ricerca di connessioni vere, di uno sguardo che non resetta ogni giorno l’anima.

E forse, scrivere o leggere queste parole,
è già un modo per rompere il loop.

Raccontami la tua nei commenti.
Non perché cambierà loro.
Ma perché, almeno qui, tra noi…
ci ricordiamo davvero.