Come sopravvivere ai Calabresi,  Dal Diario di Saso,  giornalismo,  lost in portogallo

LOST IN PORTOGALLO EP. 4 – RITORNO A CASA

Sono partito da Treviso, diretto a Lamezia Terme, e mi sono ritrovato a Porto, in Portogallo. Come è successo, nessuno lo sa. Forse un misto di coincidenze, errori, sbadataggine – mia e altrui. Ryanair, dal Portogallo, mi ha rispedito in Italia già 12 ore dopo: volo verso Bergamo, diretto e tutto pagato (ben quattro voucher da 4 euro ciascuno da spendere in aeroporto per cibo, acqua e leccornie varie – un’abbuffata), ma per tornare a Lamezia ho dovuto sbattere un po’ di più. Non è stato un viaggio dell’orrore, anzi: mi sono sentito un po’ Tom Hanks nel film The Terminal. E poteva sicuramente andare peggio (per esempio: «Poteva piovere!»). Ma poteva anche andare meglio.

Per prima cosa, sono stato in Portogallo, per la prima volta in vita mia, e non ho messo piede fuori dall’aeroporto nemmeno per un istante: oltre all’ansia di perdere anche il volo di ritorno c’era tutta la questione del Covid che, proprio in quei giorni, stava peggiorando dalle parti di Lisbona. Il giorno prima del mio arrivo è stato istituito nella capitale il coprifuoco a partire dalle 15 e impedita la circolazione in vaste zone, a causa di una esplosione di contagi preoccupante e di difficile contenimento. Non vi nego che ci sono rimasto male: accorgendomi, davanti alla scritta «Gate 42», di essere sbarcato a migliaia di chilometri da casa, ho avuto un mucchio di pensieri sgradevoli, ma anche uno bellissimo («Evvai, gita gratis in Portogallo e bagno nell’oceano!»). Potete biasimarmi? Sono due anni che non viaggio (al pari di molti di voi, ovviamente), a causa di questa benedetta pandemia. Mentre la signorina di Ryanair parlava gesticolando al telefono cercando di risolvere un danno che, va detto, non aveva combinato lei, io pregustavo di comprare un bel paio di infradito, un sombrero, uno scialle e delle maracas. Salvo poi ricordarmi di non essere in Messico e che, forse, quanto ho appena scritto potrebbe essere considerato persino volgare e politicamente scorrettissimo (so sorry…). Fatto sta che ho passato dodici ore in aeroporto, facendo amicizia con un mucchio di gente e sentendomi additare, di tanto in tanto, come «Ehy, you are the guy of the wrong flight?!». E giù di pugni, gomitate e «ciao ciao» con la manina. «Yes, I am». Oh, in fondo, è una specie di fama anche questa.

Ho conosciuto anche due marocchini con doppia cittadinanza italiana, marito e moglie, che vivono in Aeroporto da oltre 40 giorni. La loro situazione è molto più tragica della mia e sto ancora cercando di capire cosa gli è successo, cercando un modo migliore per raccontare meglio, se riesco, la loro storia. Per ora basti dire che lui è arrivato dall’Italia per fare scalo a porto e poi ripartire per Marrakech, spezzando il viaggio in due per risparmiare (l’ho fatto anche io una volta, risparmiando circa 500 euro sul prezzo del volo diretto). Con sé aveva i tre figli, il più grande di 14 anni. Secondo il suo racconto, le autorità portoghesi, ai controlli, avrebbero ritenuta sospetta tutta la faccenda (l’itinerario di volo inusuale, il padre da solo con i tre figli…) e deciso di trattenere i bambini. L’uomo avrebbe contattato un avvocato locale che, tariffario a ore, gli avrebbe consigliato di farsi raggiungere dalla moglie, la quale sarebbe riuscita a partire dopo dieci giorni giungendo a Porto per riprendersi figli e marito. Secondo il legale, le autorità avrebbero dovuto riconoscere, se non lui soltanto, almeno la coppia, come legittimi genitori, e restituire i bambini, ma così non è stato: a oggi, genitori e figli sono ancora separati. L’uomo è un operaio in disoccupazione di Milano e ha finito i soldi, quindi non può più permettersi un avvocato né di pagare un albergo per sé e la sua signora. È così che loro sopravvivono come possono sulle panchine dell’aeroporto Francisco Sá Carneiro di Porto, sentendo di tanto intanto i figli, che possono chiamarli al telefono e fortunatamente riferiscono di essere trattati bene. I due coniugi hanno con sé il passaporto, cosa che mi fa pensare non siano ancora indagati o sospettati di alcun reato, ma che i figli siano bloccati nelle maglie di una burocrazia farraginosa, in attesa del nulla osta di qualche tribunale dei minori. Da quello che so, in Portogallo ci sono stati recenti casi di traffico di minori, dunque riesco a comprendere l’eccessivo zelo delle autorità. Ma se quell’uomo non fosse chi dice di essere, dopo quaranta giorni, avrebbero dovuto scoprirlo. E sicuramente non lo avrebbero lasciato in aeroporto, con il passaporto e la possibilità di fuggire in qualsiasi momento.

Tornando a me, dopo un volo spesato e decisamente comodo (ho chiesto comunque tre volte alle hostess, prima di rilassarmi, se fosse il volo giusto) arrivo a Bergamo a mezzanotte. Qui parlo con il tizio del Lost and Found, che non ho capito perché è anche un responsabile di Ryanair, e ricevo indicazioni per andare in albergo (dall’altra parte della strada che corre lungo l’entrata principale dell’aeroporto) e il suggerimento di farmi trovare al check-in, l’indomani mattina, almeno due ore e mezza prima della partenza (è domenica, è agosto ed è bollino nero per traffico e partenze per le vacanze). Il volo per Lamezia è previsto per le 10.30, alle 8 quindi mi dovrò far trovare bello, pronto e arzillo allo sportello. Non controllo il biglietto perché sono troppo stanco e mi rifugio spedito nell’ottima stanza dell’Hotel NH che i tizi di Ryanair mi hanno prenotato da prima che partissi dal Portogallo. La mattina dopo non faccio nemmeno in tempo a fare colazione in albergo (a gratis), per il timore di arrivare tardi e mangio però un ottimo cornetto al pistacchio e un cappuccino di soia e orzo al bar dell’aeroporto. Sono decisamente felice, pregustando il tanto agognato ritorno in patria di lì a poche ore. Stavolta ho chiesto a mio padre di venirmi a prendere, risparmiando l’ennesima traversata alla mia ragazza che, probabilmente, ha ancora il broncio per il giorno prima. Mi prometto di prenderle qualcosa al Duty Free, per farmi perdonare. Magari un’altra bottiglia di vino. Giungo però al check-in e, inaspettatamente, mi becco una bella doccia fredda. Non ho un posto assegnato sul volo: sono in lista di attesa insieme a non so quante altre persone.

(Continua: leggi la quinta e ultima puntata)

(recupera le puntate precedenti qui)

 

Salvatore “Saso” Tigani è un giornalista, scrittore e autore umoristico. È diventato famoso con Come sopravvivere ai Calabresi, ma ha scritto anche cose belle. Alcuni suoi racconti hanno vinto importanti premi letterari e compaiono in raccolte e antologie nazionali. Però è astemio.