Il Portafogli

Avevo un portafogli vecchio, sfinito, consumato.
Lo amavo. Non per il cuoio, ma per la forma delle cose
che conteneva: le curve dei documenti piegati,
i bordi delle tessere, la memoria delle mani
che lo aprivano ogni giorno come per un rituale.

Di colpo, poi, l’ho perso. O forse me l’hanno tolto.
In mezzo alla folla, tra risate, schiene,
mani distratte e voci troppo forti.
Qualcuno l’ha preso. Nessuno ha visto.

Ho urlato. Ho minacciato. Ho cercato la divisa, la giustizia,
ma mi hanno chiesto: “Che documenti conteneva?”.
E io: “Uno di salute. Uno di valore. Uno di identità.”
E loro: “Ma di che tipo? Certificati, tessere, patenti?”
Non sapevo dirlo. Ma sapevo che ce n’era uno
che mi spettava. Ce n’era uno che provava qualcosa.

Ce n’era uno, un pezzo di carta senza il quale
nessuno avrebbe più creduto al mio dolore.

Alla fine l’ho visto: infilato nella tasca di un altro.
L’ho ripreso. L’ho guardato, spaventato. E l’ho gettato.
Forse ho solo capito che non era più mio.
O che non serviva più a dimostrare chi ero.

Adesso ho le mani vuote, guardate
Ma il nome addosso: vedete?
E so contarmi anche senza contanti.
E valgo anche senza prove.