Chiedete e vi sarà dato

Per la vostra nuova rubrica preferita, stamattina ho scelto io un versetto preciso, che da giovane mi ha spesso entusiasmato (anche se per i motivi sbagliati e nei modi più pop). Il versetto è:

“Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute e voi le otterrete”
— Marco 11:24

Quando lo leggevo da ragazzo mi sembrava una specie di incantesimo, un “formula segreta del potere spirituale”: prega, credi forte, e ottieni. Semplice. Meccanico. Automatico. Una specie di “The Secret” anticipato di duemila anni. Ma crescendo, e rileggendo questo versetto alla luce del contesto, del linguaggio e del resto del Vangelo, ho cominciato a capire che non solo non è una magia, ma che è forse il contrario di ogni mentalità magica.

Gesù non dice “chiedete e se avete fede Dio vi ‘darà’ ciò che desiderate”; dice “credete di ‘avere già ricevuto’ ciò che chiedete, e lo otterrete”. Sembra una contraddizione logica, e invece è una rivoluzione percettiva. È un invito a spostarti di livello. Non è una promessa di esaudimento, ma un’esortazione alla fiducia anticipata. Come a dire: se quello che stai chiedendo è veramente autentico, se nasce dal desiderio giusto, se viene da un cuore accordato, allora non lo stai solo chiedendo: lo stai già ricevendo. Solo che non lo vedi ancora. Solo che non sei ancora nel punto giusto per accorgertene. Solo che sei ancora occupato a domandare e non stai ascoltando la risposta che è già iniziata.

Il versetto arriva subito dopo un episodio bizzarro e simbolico: Gesù, affamato, si avvicina a un fico che ha molte foglie ma nessun frutto. Marco specifica che non era nemmeno la stagione dei fichi, eppure Gesù maledice lo stesso la pianta, porella. Il giorno dopo, l’albero è completamente secco. I discepoli si stupiscono, ma Gesù usa quel gesto strano per parlare proprio della fede: “Abbiate fede in Dio… se uno dirà a questo monte: ‘levati e gettati nel mare’, e non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto”. E poi arriva il nostro versetto. Ma che c’entra il fico? C’entra perché il fico, in quel contesto, è l’immagine di ciò che ha apparenza ma non sostanza, foglie ma non frutto. È il simbolo di una spiritualità sterile, teatrale, fatta di forma ma senza fiducia reale, senza frutto visibile. Gesù fa seccare quell’albero perché è l’opposto di ciò che lui sta annunciando: la fede che agisce prima di vedere, che produce frutto anche quando non è “la stagione giusta”, che non si limita a sembrare viva, ma lo è davvero, dentro. È da qui che nasce il discorso sulla fede che ottiene tutto: da un contrasto tra il vuoto e il pieno, tra l’apparenza e la sostanza.

Questa fede di cui parla Gesù in realtà non è cieca, ma lucida. Non è pretenziosa, ma fiduciosa. Non è, soprattutto, una leva per piegare Dio alla tua volontà, ma un atto di riconoscimento: che ciò che chiedi veramente, nel tuo io più profondo, è già allineato a ciò che Dio vuole donarti.

E qui arriviamo al punto più sottile di tutti. Quando nel Padre Nostro diciamo:

“Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”
— Matteo 6:10

stiamo dicendo esattamente questo: che “nel cielo”, cioè nel luogo della verità piena, la volontà di Dio è già realizzata. Non c’è conflitto, non c’è separazione. La volontà di Dio e la verità di ciò che siamo coincidono. Ma “sulla terra”, cioè dentro la nostra coscienza ferita, frammentata, distratta, questa volontà non si compie, o si compie solo a tratti. E allora preghiamo: “fa’ che qui sulla terra, dentro di me, si compia ciò che in cielo è già vero”. Non stiamo chiedendo a Dio di agire al posto nostro, ma di renderci capaci di riconoscere ciò che è già stato fatto. Di accorgerci che il desiderio più vero, quello dietro tutti i desideri — non il bisogno di essere amati, né quello di essere importanti, né quello di ottenere cose, ma la sete silenziosa di verità, di pace, di pienezza — coincide con ciò che Dio vuole. E se davvero riuscissimo ad ascoltare quel desiderio profondo, saremmo già nella volontà di Dio. E se siamo nella volontà di Dio, ciò che desideriamo non dobbiamo aspettarlo: sta già arrivando. O forse è già arrivato, ma non l’abbiamo ancora riconosciuto.

Gesù, dunque, dice: pregate come se aveste già ricevuto. Ma non fatelo per illudervi, fatelo perché, se siete in sintonia col Regno, allora ciò che chiedete non è più capriccio, ma chiamata. E ciò che arriva non è un premio, ma una risposta a qualcosa che c’era già.
È il famoso “potere della gratitudine”. Riempi il cuore di gratitudine ed essa risuonerà con l’universo, attirandoti altri motivi per essere grato.


Per la solita, utilissima, libera associazione di idee, penso adesso a un’altra immagine che mi ha sempre colpito:

“Guardate gli uccelli del cielo… non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai, eppure il Padre vostro li nutre”.
— Matteo 6:26

Gli uccelli non hanno tasche, non hanno piani quinquennali, non hanno controllo. Ma vivono nel presente. Si fidano del giorno. Si fidano del pane quotidiano, non del magazzino. Non hanno sicurezza, ma hanno fiducia. E proprio perché non accumulano, possono volare.
Allora forse la preghiera non è chiedere, ma fidarsi. Non ottenere, ma riconoscere. Forse la fede vera non è convincere Dio a muoversi, ma lasciare che Lui muova me. Forse pregare davvero significa smettere di aspettare miracoli fuori, e iniziare a vivere come se il miracolo fosse già cominciato dentro.
Perché il “pane quotidiano” – cioè tutto ciò che realmente ci serve, che davvero desideriamo, e che spesso si nasconde dietro strati su strati di desideri altrui che abbiamo introiettato – è garantito dalla struttura stessa del mondo, è il nostro “reddito di cittadinanza”, con cui non è magari possibile comprarsi una Lamborghini… ma sicuramente basterà a saziare chi vive nel presente.

P.s.:

Se ci pensate, nel Vecchio Testamento questo tipo di logica — chiedi, credi, ricevi — in forma così esplicita, non si trova. Non c’è una promessa meccanica di esaudimento, né un’idea di preghiera come leva spirituale. Semmai l’opposto: la fede del giusto è fede che regge anche quando Dio tace, anche quando non risponde, anche quando la realtà sembra non cambiare. Abramo non ottiene subito. Giobbe perde tutto e resta lì, con la sua domanda aperta. I salmi sono pieni di lamenti, dubbi, grida verso un Dio che sembra a volte assente. Eppure, in mezzo a tutto questo, ci sono già dei semi:

“Fidati del Signore, consegna a Lui la tua via, ed Egli agirà”
— Salmo 37.

Oppure:

“Confida con tutto il cuore e non appoggiarti sul tuo discernimento”
— Proverbi 3.

Non sono formule per ottenere, ma inviti a entrare in un’altra logica. Anche lì, l’attenzione non è sul “cosa ricevi”, ma su come stai davanti alla realtà. Sul fatto che se ti affidi, se ti svuoti, se lasci andare il controllo, qualcosa si apre. Non necessariamente il risultato che volevi, ma un sentiero. Un senso. Un pane per oggi.