Chi raccoglie la mia sete

Tra le pagine di un sogno, 

vergata con segno lieve,

ho scorto una nota a margine 

che rude mi avvertiva:

non hai fatto il bene per il bene,

anche se l’hai fatto per amore.

Ci ho pensato per giorni,

nel silenzio che scava,

mettendo alla prova,

la verità del sogno.

Tre notti l’ho scomposto in frammenti,

come faccio con ogni cosa viva,

fino a prenderne il battito

e capire che era vero.

È vero che ascolto come si offre

pane a chi non ha fame,

lesinando uno sguardo, uno solo,

da chi non ha occhi per guardare.

È vero che offro il mio aiuto a chi non ne vuole,

fratelli e amici cui basta un’eco

o un riflesso, e che all’alba e senza colpe

dimenticano la notte che ho vegliato per loro.

E ogni volta che do tutto

torno a passi lenti e pesanti,

con le mani vuote e il cuore in fiamme,

a cercare una briciola di senso.

Però non sono un santo.

Sono solo un bambino convinto

che per essere amato

deve salvare il mondo.

Che per meritare,

si deve un po’ morire.

E ora che ne scrivo,

capisco un’altra cosa:

le persone non sono fatte

per reggere il mio bisogno.

Ecco perché non parlo più,

più non mi offro e più non chiedo.

Ma chi legge il suo nome

tra i molti che non ho scritto

sappia che la mia rabbia

è solo amore non riconosciuto.

E che la mia assenza, ora,

è il modo che ho trovato

per continuare ad amare

senza più ferire.