“Bioeticando” di Domenico De Angelis, ep. 2: Intuizione e via…
Nella scorsa puntata, si è accennato alle tematiche affrontate dalla bioetica. Oggi, invece, si vogliono descrivere, brevemente, le dinamiche che hanno spinto i primi autori ad avviare questo percorso. L’inizio “ufficiale”, o meglio, riconosciuto come tale, è il 1970. Anno in cui l’oncologo Van Ransselaer Potter diede alle stampe un articolo, pubblicato sulla rivista “Perspectives in Biology and Medicine”, dal titolo “Bioethics. The science of survival”. Sarà il primo capitolo del suo celebre volume pubblicato l’anno successivo, “Bioethics. Bridge to the future”. La bioetica doveva costituire, per Potter, una nuova disciplina capace di combinare la conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani. Potter aveva individuato nella distanza tra due ambiti di sapere, quello tecnologico e quello umanistico, un pericolo per la sopravvivenza dell’intero ecosistema e, di conseguenza, per l’uomo. Il sapere tecnologico, infatti, se lasciato libero di operare senza limiti mira solo all’autopotenziamento. Per tale ragione, la bioetica costituiva un ponte e una scienza della sopravvivenza. La sua visione non era focalizzata solo sull’uomo ma ampliava lo sguardo alla biosfera nel suo insieme. La concezione potteriana muove da una situazione di duplice preoccupazione, sia per l’uomo che per l’ambiente, lui stesso parla in termini di allarme, e viene teorizzando il dubbio sulla capacità di sopravvivenza dell’uomo, paradossalmente, proprio per effetto del progresso scientifico. Considerazioni che aprono la strada alle riflessioni dell’ostetrico André Hellegers, fondatore del Kennedy Institute of Ethics, che utilizza il termine bioetica dandone un significato diverso da quello potteriano. La considera come maieutica e la introduce nelle aule universitarie. Una scienza capace di saper interagire con la medicina, la filosofia e l’etica. L’oggetto di questa nuova scienza, sono gli aspetti etici impliciti nella pratica medica. Inoltre è grazie a lui che la bioetica acquisisce una metodologia interdisciplinare. Nel tempo è proprio questa concezione a prevalere, meno globale e più specifica, e la bioetica sarà considerata dalla maggioranza degli studiosi come una disciplina adatta a sintetizzare le conoscenze mediche e quelle etiche, in grado di superare la semplice etica in campo medico di matrice ippocratica. Come si può notare, siamo innanzi alla nascita di una nuova disciplina e non semplicemente alla naturale evoluzione di una già esistente. Negli stessi anni, bisogna menzionare anche il notevole lavoro di altri due autori, nel 1969, il filosofo Daniel Callahan e lo psichiatra William Gaylin che diedero vita al noto Hastings Center con lo scopo di studiare e formulare norme nel campo della ricerca e della sperimentazione in ambito biomedico, ancora senza utilizzare il nome “bioetica”. Altri autori, che richiameremo in un secondo momento, hanno dato una notevole spinta allo sviluppo di tale riflessione e ci accorgeremo che, in realtà, si è sempre parlato di bioetica, anche se il termine non veniva utilizzato. Per ora ci siamo soffermati solo sugli esordi della bioetica. Insomma, il binomio tecnologia ed etica dev’essere reimpostato urgentemente onde evitare tragiche conseguenze. In fondo, chiediamoci: dopo la deprecabile esperienza della bomba atomica perché invece di fermarsi atterriti si cominciò a programmare una “bomba” (biologica) ancora più potente capace di disintegrare l’uomo? Che senso ha? L’uomo dovrebbe aver paura degli strumenti che ha creato? Si tratta di strumenti è vero ma se finissero nelle mani sbagliate? Tali interrogativi meglio porli preventivamente che magari ricordarci quando ormai sarà troppo tardi. Intanto, rifletterci sopra ci sembra il modo migliore per servire l’uomo. La consapevolezza delle proprie scelte, quelle libere, dovrebbe spingerci a maggiore responsabilità. Non ad una illusoria concezione di libertà, che rischia di portarci ad un’autentica anarchia, riluttante nei confronti delle leggi dello Stato e della natura dell’uomo. Oltre, ovviamente, a ignorare le leggi morali, percepite purtroppo come inutili limiti imposti dall’uomo. Ecco che la praticità della bioetica sembra essere necessaria per meglio rispondere ad una specifica chiamata. Quella alla responsabilità dell’uomo nei confronti di sé stesso, del prossimo e del creato.