Aneddoti di scrittura

Scrivere, scrivere, scrivere

Da quando ho aperto il servizio di mentoring ho seguito 6 persone. Due hanno rinunciato subito, tre ci stiamo lavorando e l’ultimo ha trovato tutto da sé dei buoni contatti a cui presto manderemo degli altri capitoli e una sinossi riveduta e corretta.
Ma tra gli altri che passando dal sito hanno chiesto informazioni la maggior parte ha mostrato subito un po’ di confusione quando hanno intuito che scrivere ha più a che vedere con il fare che con l’essere, con il dovere più che con il volere e con il sentire più che con l’emozionare.
Lo scrittore non è uno che vuole scrivere ma uno che ne ha bisogno, prima di tutto, che deve scrivere, come seconda cosa, e che soltanto se è fortunato alla fine vuole fare quello che ha bisogno e sente di dover fare.
È molto più della semplice distinzione che faceva Fromm tra essere e avere, perché lo scrittore raramente HA e quasi mai È.
Il più delle volte, semplicemente, lo scrittore scrive. Non stampa, non pubblica, non viene letto, non fa i soldi né diventa famoso. Questa è tutta roba che viene dopo, automaticamente, se lo scrittore fa, ma prima di fare, lo scrittore deve.
“Scrivo per essere letto”, dicono così spesso. E anche quelli che dicono di scrivere per sé stessi poi stanno male se non vengono letti.
Il fine della scrittura è la scrittura stessa, ma prima di realizzare questo fatto ci mettiamo tutti un po’.
“Che ti siedi a fare a scrivere se non sei stato prima in piedi a vivere?”. L’ha detto uno che si è fatto incarcerare pur di non fare qualcosa che la legge gli imponeva di fare mentre la sua coscienza glielo impediva. Ed era più libero lui dietro quelle sbarre che noi qui fuori a fare ciò che non vorremmo.
Allora prima si vive, poi si scrive. E ti sei mai imposto di vivere? Vivere è un bisogno, un istinto, un dovere genetico. Non è qualcosa che decidi di voler fare. Vivere è ciò che fai per essere vivo.
E scrivere è ciò che fai per essere vivo.
A volte, quando dico loro che quella che chiamano storia in realtà è al massimo lo spunto poco originale per una scena, mi chiedono come si fa a creare una buona storia, a trovare un ottimo spunto.
Chiedetemi pure come si fa a respirare, a mangiare e a fare la cacca. Posso dirvi come respirare meglio, più a fondo e lavorando meglio di diaframma, e come stare seduti alla turca per non infiammare il pavimento pelvico. Ma, siamo sinceri, sapete bene come si mangia e come si caga. L’avete imparato perché mangiare e defecare è una cosa che a un certo punto, subito dopo la vostra nascita, avete riconosciuta come un dovere. Una cosa che dovete fare per non morire.
Scrivere per essere letti o per pubblicare, be’, lo scoprirete da soli prima o poi, non funziona. Magari indovinate un titolo e una copertina e riuscite a piazzare mille copie di una raccolta di barzellette e fatterelli senza capo né coda. Ma quello non è scrivere, quello è a malapena marketing. Scrivere per gli altri significa che come minimo dovete avere imparato qualcosa voi, fosse anche la capacità di discernere un sentimento buono da uno cattivo, la consapevolezza per compiere una scelta morale, la quantità di cose che serve sapere per costruirsi da sé una visione del mondo, o per abbracciarne una già data e riuscire a raccontarla a parole proprie. Scrivere per gli altri significa anche avere un buon intuito per capirli, gli altri.
Mentre scrivere per se stessi è nel novantanove per cento dei casi una grossa bugia e per il resto un equivoco.
Allora per chi o per cosa si scrive?
Domandatevi meglio per chi, cosa o perché si vive.
Scrivere è anche, a volte, lo stesso bisogno che avete di schiacciarvi al più presto quel brutto e dolente brufolo sottopelle. Quello che ne viene fuori, dopo tanta fatica e dolore, non è proprio grazioso o piacevole, ma che sollievo! Ecco, se per voi, la maggior parte delle volte, scrivere è così, se cioè buttate il grosso di quello che scrivete, forse forse che vi siete avvicinati a capire veramente che cos’è, scrivere.
Manzoni l’ha riscritto tre volte, i Promessi sposi. Completamente. E ci ha messo vent’anni per finirlo. Marquez ha fatto qualcosa di simile con i suoi Cent’anni di solitudine – che sono, tra l’altro, gli anni di solitudine in cui è costretto a vivere chi scrive perché deve farlo.
Entrambi, Manzoni e Marquez, sono stati letti da milioni di persone. E sono sicuro che gli abbia fatto piacere e ancora gliene faccia, ma il vero sollievo, secondo me, l’hanno provato scrivendo.
Quando scrivi, se stai scrivendo davvero, lo fai con la tua mente implicita, con l’inconscio, in uno stato che i più chiamano Flow, durante il quale il cervello disinnesca i centri del giudizio. È un posto senza tempo, il Flow, dove non pensi a quando e se ti leggeranno né a cosa diranno o penseranno di quello che stai scrivendo. Il Flow è un posto di beatitudine, il regno dei cieli in terra, e perbacco se è difficile entrarci: cammelli nella cruna di un ago. Ma è l’unico posto in cui puoi scrivere senza ammalarti, senza affaticarti, senza impiccarti alla corda tracciata sul foglio di carta dalla tua stessa penna.
Scrivere è un po’ come danzare, solo che tu non sei colui che danza ma ciò che è danzato. Tu sei la danza e la storia è il danzatore, parafrasando un altro autore a me caro.
E che cos’è dunque la storia? La vita. Una vita tra le tante, ma archetipica. Più scrivi per scrivere e più ciò che avrai scritto sarà comprensibile anche agli altri.
Perché scrivere è come vivere e se vivi bene, senza sforzo, allora ti circonderai di vita e di lettori. Se vivi male, e ti affaticherai nella spasmodica ricerca del consenso altrui, non otterrai niente di tutto ciò che cerchi e anzi nella solitudine in cui hai scritto affogherai.
Orsù dunque scriviamo, cestiniamo, scriviamo ancora e cestiniamo di nuovo. Ma soprattutto scriviamo.
“Io vorrei tanto fare lo scrittore”.
“Smetti di volere e comincia a scrivere!”.
(forse continua)

Salvatore “Saso” Tigani è un giornalista, scrittore e autore umoristico. È diventato famoso con Come sopravvivere ai Calabresi, ma ha scritto anche cose belle. Alcuni suoi racconti hanno vinto importanti premi letterari e compaiono in raccolte e antologie nazionali. Però è astemio.