RECELIBRO – “Il diario di uno spalatore avventuroso” di Pino Napoli
Rivolgendosi al lettore con una sincerità disarmante, spesso troppo generosa persino per gli stomaci più forti, Pino Napoli ci racconta la storia di un pusillanime, campione della squadra cosmica dei perdenti, sposato quasi per miracolo a una donna bellissima e padre di un figlio meraviglioso che sente intimamente di non meritarsi. Un uomo che, repellendo se stesso, trasmette al mondo il proprio disagio influenzando la sua identità sociale al punto da farsi terra bruciata intorno. Un uomo che ha fatto della propria commiserazione un’arte e che, quando persino la moglie si stanca di lui, abbandonandolo insieme al figlio e alla sua vita di merda, tocca il fondo di una depressione dai toni decisamente horror.
“Partire è un po’ morire/rispetto a ciò che si ama”, recita la poesia più famosa dello scrittore francese Edmond Haraucourt. E il protagonista del libro di Pino Napoli, “Il diario di uno spalatore avventuroso”, è uno che per tutta la vita ha temuto di partire per paura di morire a se stesso. Ma, come si dice, bisogna toccare il fondo per darsi la spinta necessaria a risalire.
Nel libro di Napoli, classe 1973, polistenese e “scrittore per passione”, si racconta questa caduta a precipizio nel fondo più profondo dell’animo umano. Un viaggio attraverso l’inferno dell’anima in cui magia e avventura servono la storia con passo delicato e riverente, senza mai rubare la scena al conflitto interno del protagonista o alla splendida evoluzione del suo rapporto con il proprio “bambino”.
Lasciato finalmente solo a confrontarsi con il suo ruolo di padre, senza più il rassicurante status sociale di marito, il nostro spalatore di catrame impegnato fra i ranghi più umili della manutenzione stradale parte insieme al figlio Rob e al fedele amico a quattro zampe Rufus per una scampagnata improvvisata e irresponsabile, parte all’avventura e comincia un po’ a morire: alcuni dei dialoghi più potenti del libro sono proprio quelli in cui il giovane coprotagonista, in età ancora scolastica ma dalla favella e dal raziocinio impressionanti, mette il padre davanti alla sua miserabilità. Nel lettore il cuore si spezza più volte ma è proprio di questo che stiamo parlando: se vuoi rinascere devi prima morire.
Un viaggio quindi nella selva oscura, letteralmente e metaforicamente, alla ricerca di se stesso. Un viaggio alla conquista dell’amore di un figlio che non ha mai smesso di amarlo e di una pace che non ha mai creduto di meritare. Un viaggio per rimediare, espiare, rinegoziare il proprio patto con l’universo e con se stessi.
Il libro alterna sequenze mozzafiato a momenti di pura contemplazione e pur deliziandoci con alcuni esempi di scrittura portentosa non è completamente scevro da difetti. Per prima cosa lamentiamo la rapidità con cui l’autore liquida i due protagonisti umani al termine della storia, contrapposizione leggermente stonata rispetto alla lentezza eccessiva di alcune descrizioni oniriche. In secondo luogo, la scansione narrativa è forse viziata e penalizzata dalla mancanza di una riscrittura o revisione: si ha spesso la sensazione che l’autore abbia voluto “liberarsi” con troppa urgenza di questa storia, pubblicandone le prime bozze senza ulteriore riflessione. Quasi un bisogno, probabilmente legato alle forti componenti autobiografiche chiaramente palesate nel testo. In ultimo, ma ugualmente importante, la scelta di inserire nelle fasi iniziali del racconto la lunghissima sequenza di sogno di cui si è appena detto: il sogno è per definizione interessante soltanto per il sognatore (abbiamo affrontato tutti, almeno una volta nella vita, con la stessa malcelata noia e lo stesso disinteresse il racconto appassionato del racconto onirico di un parente o un amico) salvo che non ci sia stato il tempo per identificarsi con lui.
Ecco, forse il problema più grande del libro di Napoli è la sua asciuttezza. Il Diario ha la sostanza di un racconto lungo e la forma di un romanzo e lascia il lettore con la voglia di saperne di più e la certezza di non poterne sapere. Alcune delle scene più elevate accadono addirittura “dietro le quinte”, come il conflitto con il segugio, ingiustamente maltrattato, conflitto che rimane irrisolto fin oltre la conclusione, impedendo all’identificazione di sciogliersi e lasciando a metà l’ottima caratterizzazione dell’unico pur splendido personaggio animale.
In fin dei conti però la lettura è delle più piacevoli e le invenzioni di Pino Napoli mozzano il fiato più di una volta, soprattutto nelle scene finali, dove tutti i nodi vengono al pettine e i semi abilmente piantati per tutto il libro fruttificano in un’unica, magistralmente raccontata sequenza di vera “paura”.
Inoltre la tematica, tanto cara a Pino Napoli, del rapporto padre-figlio, incentrata sin dalla notte dei tempi sui concetti di emulazione e rigetto, di mitizzazione e parricidio, è nel racconto perfettamente metaforizzata, mai didascalica, eccezionalmente messa in scena. E, verrebbe da dire, “terribilmente” risolta, con una delle invenzioni narrative più “felici” del genere.
Rintracciamo infatti alcuni riferimenti ai maestri del genere, da Poe a Lovecraft, passando per i racconti gotici e fantastici propriamente detti ma con più di una strizzatina d’occhio a certi racconti popolari della tradizione anglosassone: tra campane, spiriti dei boschi, manieri abbandonati. Ma non aggiungeremo altro per non rovinare la lettura.
Lo Spalatore avventuroso è un libro della Greyskull Edizioni, venduto presso l’edicola-libreria di Ciccio Niglia a Polistena e molti altri esercenti calabresi al modico prezzo di 8 euro, ed è il secondo romanzo di Pino Napoli, un autore di cui speriamo di sentire riparlare presto, un viaggiatore che non ha paura di morire per ciò che ama ma soprattutto un nostro caro amico.
Salvatore Tigani