La voglia di scrivere e il desiderio di venire pubblicati
Ho imparato a mie spese che la voglia di scrivere e il desiderio di venire pubblicati possono reagire tra loro provocando danni molto grandi e, soprattutto, duraturi.
Nel 2015 avevo un profilo Facebook molto seguito, carico di post originali (nel senso di “nati su Facebook e non copincollati da altri media”) e articoli invece già editi (e quindi, stavolta sì, copincollati dai tanti giornali e riviste con cui ho collaborato nel corso della mia decennale “carriera” da pubblicista, ma anche dal mio vecchio, discretamente seguito blog “Pino l’Astuto & Friends”, pace all’anima sua). I “mi piace” fioccavano e ogni pezzo scatenava una piccola discussione tra i commenti che, come sapete meglio di me, agita gli algoritmi e garantisce ai tuoi contenuti una posizione alta nella homepage dei tuoi amici.
In parecchi misero la famosa pulce in entrambe le mie orecchie: – Perché non raccogli tutte queste cose (raccontini brevi, aneddoti di vita quotidiana da studente e lavoratore fuori sede, avventure casalinghe con la mia ultima – e migliore di tutte – coinquilina zia Maria, persino battute e barzellette) e pubblichi un libro?
– E chi se lo compra?
– Va be’, allora fai un ebook e dallo gratis.
E fu così che creai un file word, incollai dentro i post di Facebook, gli articoli di giornale e i contenuti del blog, senza un minimo di editing e anzi mantenendo la forma “diario” persino per le freddure e le barzellette, con tanto di data di prima pubblicazione sui social e faccine colorate.
Lo chiamai “Come sopravvivere ai Calabresi”, parafrasando il titolo del libro del mio amico Zardo (“Come sopravvivere ai Francesi”, tradotto in molte lingue, ché lui, sì, era uno scrittore vero, e il suo un libro verissimo) e lo cominciai a far girare.
Qualcuno venne a mettermi una seconda pulce nell’orecchio (che già una dà fastidio, immaginate due, che se poi si accoppiano è finita): – Perché non lo metti su Amazon?
E fu così che lo caricai su Amazon KDP, al prezzo minimo possibile (mi pare fossero meno di 90 centesimi), e lo lanciai sul mio profilo.
Boom! Primo nella classifica “Novità di Amazon Kindle” per quattro giorni, vicino a gente che ammiravo e a gente che invece no, poi quarto per qualche settimana e infine giù e su per qualche anno nella classifica totale degli ebook, edizione dopo edizione. Toccò la vetta altre due o tre volte e poi mi montai la testa e pubblicai un secondo e un terzo volume (“Come sopravvivere all’amore” e “Come sopravvivere a se stessi”), poiché di materiale da copincollare, in 33 anni, ne avevo accumulato.
Non guadagnai granché (ma comunque più che se avessi pubblicato il libro per una casa editrice con diritti d’autore al 6-8%, tipo Mondadori, t’oh!, o Rubettino), ma quando Amazon mi aveva proposto, con una mail automatica, di realizzare la versione cartacea, io avevo accettato facilmente, cosa che aveva permesso agli amici di Facebook di acquistare un tascabile dalla copertina divertente, postare il selfie, far girare la voce e creare un discreto loop: i tre libri, insomma, si vendevano da soli.
Dov’è, mi chiederete ora, la fregatura?
Prima di tutto, quei libri facevano veramente pena: dal punto di vista editoriale si salvavano forse la copertina e il titolo ma, dentro, come già detto, il file word formattato male urlava tutta la sua inadeguatezza. Per quanto riguarda il contenuto, col senno di poi avrei eliminato circa il 70% della roba (e così infatti, qualche mese fa, ho fatto), cose di cui, se ci penso, mi vengono i brividi ancora oggi. E ci sarebbe un mucchio di altre considerazioni di forma e sostanza con cui scelgo di non tediarvi.
Ebbi, tuttavia, un momento piuttosto lungo di popolarità inattesa e, se da una parte, mi faceva indubbiamente piacere, dall’altra mi faceva sentire assai a disagio.
Anni prima avevo pubblicato un saggio sociologico sull’incertezza indagata attraverso le serie tv di fantascienza e vinto un paio di concorsi letterari, con altrettanti racconti, roba che non si era filato nessuno al di là delle giurie e di qualche addetto ai lavori. Anni dopo, ero “famoso” in certi giri per i racconti di Zia Maria e Saso che facevano cose buffe insieme. Sic!
Per carità, non rinnego nulla, ma una volta stampata l’etichetta, ci vuole un po’ perché la colla ceda e la presa molli. Tanto che quando ricominciai a pubblicare roba seria, qualche vecchio lettore storse il naso: “Ah, ma non è umoristico come il primo libro…”, “Ah, ma non c’è zia Maria…”, “Ah, ma se lo sapevo che ti eri imborghesito…” (giuro che mi hanno detto anche quest’ultima cosa, col tono deluso di una aspettativa smoderatamente disattesa).
Croce e delizia, dunque, per circa sei anni, durante i quali ho continuato a scrivere tanto, a pubblicare articoli e saggi, ma, di narrativa, quasi nulla. Mi ero infognato da solo, con un successo che somigliava più a un decesso (sia detto tra parentesi, in quegli stessi anni portavo i capelli lunghi e ricci e si sparse la voce che somigliavo a Siani. Per dire che il pacchetto nazional-popolare era completo di tutti gli optional).
L’anno scorso ho deciso però di fare pace con i miei libri, di rimetterci mano, sforbiciare, modificare, sostituire e ripubblicare in forma almeno un minimo più professionale tutta la mia produzione pop. Quella che ne è venuta fuori è una serie di pubblicazioni che hanno visto la luce tutte insieme, grazie anche a una cooperativa sociale che si è da poco lanciata nel settore dei servizi editoriali e ha voluto “usarmi” (in senso buono) come traino, visto che, nel bene e nel male, un titolo come quello del mio primo libro si vendeva anche da solo (“Come sopravvivere ai Calabresi” ha continuato a farmi accreditare sul conto in banca qualche dollaro dagli Amazon di tutto il mondo per tutto questo tempo, comprato probabilmente dalla quantità di emigrati sparsi qua e là nei decenni, ma intimamente legati alle proprie origini e attirati come allodole dallo specchietto di un titolo particolarmente felice – con rispetto parlando per tutti loro, che amo e da cui ho ricevuto pure importantissimi feedback).
E veniamo all’oggi. Non ho mai sentito come oggi la voglia di scrivere qualcosa di importante. C’è sempre stata, dentro di me, una certa tendenza alla riflessione, alla meditazione sui temi cosmici – Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? E soprattutto: chi ce lo fa fare? – ma difficilmente riuscivo a tradurre questi turbamenti interiori in una storia onesta o particolarmente interessante. Oggi, forse, la mia bussola si è orizzontata un po’ meglio, e sto buttando giù molte pagine che puntano nella direzione di almeno tre romanzi, di tre generi diversi, convergenti però nella trattazione dello stesso vuoto esistenziale che – questa è la mia nuova consapevolezza – mi accompagna da, praticamente, sempre.
Non ho più la fretta del giovane esordiente di venire pubblicato – né dalle grandi case editrici né dalle piccole – e per quanto mi riguarda se il self-publishing è riuscito a fare il suo porco dovere con delle sciocchezze come la Trilogia della Sopravvivenza immagino possa fare i miracoli anche con qualcosa di più serio. Però.. c’è un però. Sì, sto parlando di quell’etichetta.
Ho uno zoccolo duro di lettori, che occupano la propria nicchia di mercato, posizionata da qualche parte sulla Coda Lunga di Chris Anderson, ma meno della metà di loro sembra aver apprezzato il cambio di direzione. Lentamente, i nuovi libri stanno facendosi una nuova audience, ma i lettori faticano a distinguere la persona dal personaggio, l’autore dal protagonista dei primi libri: Salvatore da Saso. Insomma, ho combinato un bel casino.
Sono preoccupato di non riuscire a uscirne? No, non proprio. Credo che sarà lunga e dura, ma confido nella forza delle storie che, prima o poi, riuscirò a raccontarvi.
Dopo aver sperimentato l’ebrezza della pubblicazione e delle vendite a quadrupla cifra (al netto del prezzo basso e del mezzo digitale: le vendite degli ebook sono state assai maggiori rispetto a quelle del cartaceo e il guadagno, a seconda di dove lo guardi, dignitoso oppure misero), mi sono rimaste in gola come un groppo la voglia di raccontare e un sacco di storie importanti da condividere.
Insomma, pubblicare e pubblicare a tutti i costi sono due cose diverse. Nel secondo caso è relativamente facile e, se sai venderti, se indovini la copertina e il titolo, conosci un po’ il SEO e qualche elementare strategia di webmarketing, riesci pure a ottenere qualche soddisfazione, questo vi sto dicendo. Nel primo caso invece sono sottintese una certa ricerca, una adeguata attenzione, uno studio e una meditazione intorno allo scopo che hai deciso di dare al tuo narrare e al pubblico al quale hai deciso di destinare il tuo raccontare.
I social sono pieni di barzellette, di gruppi che raccontano fatterelli personali e battaglie quotidiane, meme, aneddoti, raccontini senza arte né parte. E Amazon, in un certo modo, funziona un po’ come i social, con la sua community KDP, il Kindle, le recensioni, e l’Unlimited. Ma io, mi sono chiesto a un certo punto, cosa voglio fare? Qual è la molla che muove la mia penna?
Allora scrivo, ormai sono tre anni che scrivo ininterrottamente. Centinaia e centinaia di pagine. Migliaia, se contassi anche quelle strappate o cestinate. Ho due lavagne piene di schemini, post-it e scarabocchi, foto, ritagli di giornale e altri post-it nei cassetti dello schedario. E il cervello pieno di luce.
Mi manca solo qualcosa, di stabilizzare il flow e prendere una abitudine. Un’oretta al giorno per il mio amore, ogni giorno, riesco a trovarla, e so che se per un paio di giorni di fila non ci riesco, il mio amore si allontana, e se continuo lo perderò per sempre. E scrivere un romanzo, come amare la propria compagna o il proprio compagno, è un atto che richiede lo stesso impegno, lo stesso atto di amore. Una storia è come una moglie, mi pare lo abbia detto qualcuno di famoso, forse Pennac, e se non trovi almeno un’ora al giorno per lei, prima o poi, come tua moglie, la tua storia ti lascia. E poi sono cazzi.
Mi hanno lasciato un sacco di donne e un sacco di storie, ma ero giovane e birichino. Adesso che sono grande, il tempo, dai, sono sicuro che lo trovo.
E qui vi ringrazio, perché in voi tutti ho trovato più di una man forte, più di una ispirazione e più di una motivazione. Spero un giorno di farvi leggere “Nessuno è felice”, il primo di quei tre romanzi. E spero che quel giorno sia vicino come credo.
E accorgendomi di avere scritto un papiro, di colpo e senza climax chiudo la trasmissione, augurandovi una buona vita e un’ottima scrittura.
S.