Il blocco dello scrittore è un luogo della mente
A proposito del blocco dello scrittore, nel corso degli anni mi sono fatto un’idea personale e cioè che le cause possono essere due e tutte e due risolvibili.
Se davanti a un foglio bianco, digitale o cartaceo che sia, rimani incantata come un coniglio in mezzo all’autostrada, può essere che tu non abbia nulla da dire OPPURE che tu non sappia come dirlo.
Nel primo caso, ci sono molte tecniche e innumerevoli consigli per trovare ispirazione, per riconoscere una storia quando la incontri o, la mia preferita, per scoprire che la tua stessa vita è ricca di storie che hai vissuto o di cui sei stata testimone inconsapevolmente. Quando hai qualcosa da dire, tanto sbatti che, quella cosa, stai tranquilla verrà fuori.
Spesso, però, questo è il secondo caso, hai qualcosa da dire, ma non hai idea di come farlo. O meglio, magari un’idea ce l’hai, ma nel 99% dei casi è sbagliata. È il caso di quegli aspiranti scrittori che credono di essere arrivati prima ancora di essere partiti e che non sanno che qualsiasi viaggio parte con un primo minuscolo passetto, ma che, in ogni caso, quel piccolo passetto dovrà essere seguito da milioni di altri, molti dei quali falsi. Sono quelle persone che snobbano la tecnica e le regole perché, secondo loro, l’arte non ha regole, dimenticando che uno dei compiti dell’arte è imitare la natura, raccontare la bellezza, restituire al lettore o allo spettatore uno sguardo onesto, sincero e personale sull’esistenza. E la natura, la bellezza e l’esistenza, fateci caso, seguono delle regole precise, che si sono evolute con la natura, la bellezza e con noi stessi. Prendiamo l’esempio della fotografia e della regola dei terzi: non è stato un professore a decidere dall’alto che una foto funziona meglio se rispetta certe proporzioni e prospettive, ci si è semplicemente accorti che la natura lo fa e che quindi la foto, per essere meglio “leggibile”, deve rispettare quelle stesse regole.
Tornando a noi, se pensi di avere una storia, ma davanti al foglio bianco ti blocchi, è perché forse quella che hai ancora una storia non è: è un abbozzo di idea, forse, o un’insieme di scene scollegate tra loro che, dentro di te, smuovono qualcosa, ma non sei nemmento tu sicura di cosa; forse è uno spunto, da cui partire per fare una riflessione su te stessa e sulle tue idee, prima che sulla storia che da te stessa e dalle tue idee, prima o poi, se persevererai con passione e onestà intellettuale verrà fuori.
Ecco quindi che prendere un libro altrui, l’opera di un autore che ti è particolarmente piaciuta se non proprio il libro di un classico della letteratura, e analizzarlo con gli strumenti della narratologia potrebbe aiutarti a sbloccarti.
Personalmente, quando ho in mente un abbozzo di storia, vado alla lavagna e la riempio di post-it. Su ogni bigliettino un pezzetto di quella idea. Aiutandomi, poi, con la divisione in atti aristotelica o con gli strumenti del viaggio dell’eroe di Campbell o con quelli di quanti hanno definito il così detto Arco del personaggio, butto giù una scaletta. Metto ordine nella mia testa, porto allo scoperto i “buchi” e li riempio, scopro le contraddizioni e le risolvo. E piano piano l’ossatura è pronta.
Quando, alla fine, arrivo sulla tastiera e apro un file word so già cosa dovrò scrivere nel primo capitolo, con quale personaggio o scena inizierà il romanzo, cosa succederà a metà percorso e quale evento darà il via al terzo atto.
Curiosità: il canone aureo, applicato in fotografia, viene applicato (o rintracciato) nelle sceneggiature (da scrivere o già scritte in tempi in cui nessuno ancora aveva parlato di archetipi, funzioni, regole auree, ecc.).
Come si risolve questa situazione perniciosa detta blocco dello scrittore, dunque?
Facendo la pace con se stessi. Smettila di prendertela perché “non esce niente” dalla tua penna, torna all’inizio e parti dallo spunto che ha acceso una lampadina nella tua testa. E, se è il caso, spegni quella lampadina e cerca altre luci nella tua esperienza o in quella delle persone che conosci.
Il mondo è pieno di storie da raccontare, ma noi ci innamoriamo di noi stessi a tal punto che a volte delle cose che scriviamo (le parole che pensiamo, le opinioni che esprimiamo,…) ci innamoriamo e piuttosto che rinunciarci ci convinciamo che la colpa è degli altri, di dio o, appunto, di questo fantomatico blocco dello scrittore.
Nel tempo libero faccio mentoring a un paio di ragazzi. Li seguo dall’idea alla progettazione della storia fino alla prima bozza. Poi gli tolgo le rotelle e li lascio cadere altre cento volte prima di tornare a dargli una mano diversa sulla seconda e terza bozza. Uno di loro aveva già scritto metà di quello che già definiva “romanzo” prima di venire da me. Ci sono voluti mesi per convincerlo che quello che stava scrivendo non era un romanzo, ma somigliava molto più a un temino o a un fatterello. Quando ha capito, ha strappato tutto, è tornato alla idea originale, l’abbiamo messa sulla lavagna e tre settimane dopo è tornato al file word. Ha scritto in due giorni un incipit di venti pagine, un primo capitolo lungo che in seconda bozza verrà sforbiciato senza pietà ma che, già così, lo invoglia a scrivere il secondo capitolo. E sappiamo già cosa Mauro (l’autore) scriverà nel terzo e poi nel quarto e così via, e cosa succederà a Emily (la protagonista) nel secondo capitolo, nel terzo, a metà romanzo e nel finale anticlimatico.
Il blocco dello scrittore, amici, secondo me non esiste: è solo un modo che la nostra mente ha per dirci che siamo egocentrici, edonisti o semplicemente impreparati (nella meno offensiva accezione del termine: io stesso sono impreparato di fronte alla seconda bozza del mio romanzo e da qualche giorno sono tornato alla lavagna, a darci dentro di “limae labor”).
Tutto questo può suonare un po’ zen, lo so, ma, anche qui, lo zen non è un modo per descrivere come funziona l’esistenza?