I social? Da strumento ad ambiente il passo è breve! – di Domenico De Angelis
Questa breve riflessione sulla tecnologia e sui social media, con i relativi interrogativi, prende spunto dalle considerazioni di Saso in merito a quanto gli è successo a Matera in occasione della premiazione. Lo stesso anticipava come sia rimasto scosso dalla visione di un documentario targato Netflix (The Social Dilemma). Anche io sono rimasto scosso, l’ho visto e mi ha colpito parecchio. Pur non essendo un utilizzatore di social media quali Facebook, Instagram, Twitter ecc. dovrei esser lontano dalla sua analisi ma, benché sia considerato da molti un troglodita tecnologico, ahimè ne sono coinvolto anche io.
Interroghiamoci semplicemente, senza perderci in tecnicismi sul loro funzionamento: cos’è la tecnologia? In particolare, quella legata ai social? Una prima risposta potrebbe essere la seguente: la tecnologia è quella realtà che ci permette – nei fatti – di abbattere e violare le relazioni spazio-temporali che costituiscono i rapporti umani. Con la conseguenza che ormai tutti (con buona pace dei nostalgici delle lettere di carta, ormai autentici reperti storici) considerano questo modello di relazione predominante nell’era 2.0 (o siamo già oltre?). Se questo è vero, è avvenuta una vera e propria trasformazione, a cui poco si pensa. Si subisce, forse, senza esserne coscienti. Cosa deduco da tutto ciò? Che la tecnologia non è più un semplice strumento (anche se ogni strumento porta con sé una finalità, quindi non è neutro) ma un “ambiente” nel quale viviamo (come suggeriva Günther Anders). Ecco spiegato perché all’interno di un contesto di bioetica si parla di tale realtà. Se ne tratta perché la bioetica ci permette di svolgere una riflessione critica della “civiltà tecnologica”. Critica non significa esprimere un giudizio positivo o negativo in sé. Ma semplicemente mettere in luce “come” stiamo vivendo nel periodo storico che abitiamo. Proviamo a considerare, per un momento, i social come un elemento imprescindibile della nostra esistenza. La potenza della loro portata non risiede nella tecnologia, ma nella possibilità di far emergere ogni pulsione e desiderio nascosto dell’uomo che, mascherato dietro uno schermo, si concede di tutto (davvero di tutto). Questo provoca necessariamente altre domande. Quella successiva è: come cambia il nostro rapporto con gli altri, con la società in generale e con la nostra umanità? In fondo, come si può notare, i social hanno introdotto una variazione radicale nel modo di rappresentare l’uomo. La relazione non è mediata dai gesti, ma dai tasti. Gli sguardi non restituiscono più alcuna emozione, sono gli “emoticon” a prendere il suo posto. Il respiro, l’attesa, la presenza (quella vera) non sono più considerati essenziali.
Cosa spinge la realtà dei social media? Perché ogni algoritmo è ottimizzato per creare dipendenza? Perché ci spinge verso un pensiero “trappola” al quale cadiamo senza appello? Potrebbe essere banale ma non è frutto di generosità l’esser iscritti gratuitamente nei vari social… in fondo Harward insegna che “se il prodotto non lo paghi, il prodotto sei tu!”. Ciò che muove i social è l’economia che sta dietro. Si, può sembrare crudele, ma è la verità.
Quanto valgono i tuoi gusti, le tue preferenze, i tuoi like e quanto ruota attorno al tuo account lo decide la pubblicità, trasformandoti da persona a numero, o contatto, che si aggiunge a migliaia di altri a cui vendere prodotti o servizi. Senza scomodare gli scandali della vendita di dati più o meno sensibili. E ci stupiamo se dopo aver pronunciato la parola “smartphone” per caso in una conversazione arriva la notifica dell’ultima offerta disponibile negli store? O se, discutendo di paesaggi, diciamo casualmente “Grecia!” per accorgerci della notifica che propone come news la vacanza last minute ad Atene? Che ricadute ha tutto ciò sul nostro modo di pensare? Quanto ci condiziona? Domande a cui magari risponderemo tra qualche tempo… per adesso, fermiamoci e “scolleghiamoci”, per un attimo. Facciamo un bel respiro e proviamo a “pensare”. Si, pensare. Questa bellissima attività che abbiamo delegato ormai ai motori di ricerca “surfando” da un link all’altro senza mai approfondire nulla. Recuperiamo il nostro di pensiero. Quello svincolato da qualsiasi feedback, stimolo o altre dinamiche suggerite dai social media. Tradotto: torniamo ad essere protagonisti delle nostre riflessioni, generate dal silenzio (interno ed esterno), da un buon libro e, magari, da una vera conversazione con un amico davanti un camino che anticipa il cammino del dialogo… a tu per tu! Che ne pensate? Se “condividete”, poniamo in essere anche noi, decisi, come qualcuno ci ricorda, più relazioni e meno connessioni!
Domenico De Angelis