BIOETICA

BIOETICANDO di Domenico De Angelis: Samaritanus Bonus… Curare è un dono a noi affidato

Si, è stato affidato proprio a te! Prenditene cura… Mi piace pensare che il silenzio di Dio alla domanda di Caino “Sono forse io il custode di mio fratello?” sia stata proprio questa. Il senso dell’affidare e il senso della cura sono un unicum che traccia il cammino di chiunque voglia seriamente interrogarsi sull’essere umano. Destinatario di quel dono chiamato vita. Questa breve riflessione prende le mosse da una confortante lettura. La lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede “Samaritanus Bonus” sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, consegnata ai fedeli, e non solo, il 14 luglio 2020 (memoria liturgica di San Camillo de Lellis). È una lettura consigliata a tutti per la profondità ed il richiamo alla nostra umanità. Ha una visione cristocentrica che restituisce quel senso di appartenenza a Cristo capace di inondare l’uomo di quel profumo di vita piena. Volendoci soffermare solo al primo capitolo, ci accorgiamo che la Congregazione mette subito le cose in chiaro. Con la premessa che a ciascun operatore sanitario è affidata la missione di una fedele custodia della vita umana fino al suo compiersi naturale, si afferma l’esigenza di un’attenta considerazione del significato proprio della cura, che interessa non solo l’operatore sanitario ma anche lo stesso malato e la famiglia tutta. La cura della vita è dunque la prima responsabilità che il medico sperimenta nell’incontro con la persona sofferente. La motivazione è semplice e si potrebbe sintetizzare così: anche quando non è possibile o improbabile curare attraverso i farmaci è sempre possibile prendersi cura della persona. Il contrario sarebbe ritenuto insopportabile e disumano. I medici e gli infermieri non sono degli eroi, come la narrazione mediatica ultimamente vuole farci credere. Sono uomini capaci di fare grandi cose nella misura in cui restano umani. L’accompagnamento medico-infermieristico è un dovere ineludibile. Si tratta, come ricordava San Giovanni Paolo II nella Evangelium Vitae, di “prendersi cura di tutta la vita e della vita di tutti”. Quando la sofferenza e la malattia incontra un camice bianco, questi si trova innanzi una persona che custodisce quel bene fondamentale e inalienabile che è la vita umana. Cosa è chiamato a fare? “guarire se possibile, aver cura sempre” (to cure if possible, always to care). Anche perché come ci ricorda la Lettera, “inguaribile” non è sinonimo di “incurabile”. Siamo chiamati a fare il possibile. E quel possibile, a volte, è tradotto nel semplice “stare accanto” ad una persona che ci è stata “affidata”. Cosa significa affidare? Forse ci aiuterà la lettura di un passo evangelico: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Luca, 12 39-48). Perché si fa la distinzione tra “dare” e “affidare”. Non sono termini uguali. Quel “dare” potremmo intenderlo come un dono ricevuto che è esclusivamente nostro e che siamo chiamati a farlo emergere e valorizzare nella consapevolezza che il nostro operare serve innanzitutto a noi stessi ma anche a qualcuno (il prossimo o la comunità in generale). Senza la realizzazione di ogni uomo il mondo rimane privo dell’unicità di quella specifica persona. Tra l’altro è chiamato a “dare” molto perché molto gli è stato dato! Per esempio la vita che è stata donata all’uomo. Potremmo concludere che siamo chiamati a “donarla gratuitamente” così come l’abbiamo gratuitamente ricevuta, sull’esempio di Gesù. Compito arduo ma indispensabile se volgiamo quantomeno provare a dirci cristiani. E quel “affidare”? a ben vedere “affidare” è qualcosa che non è propriamente nostro (nel senso di “mio, tuo, ecc.”) ma a noi è stato “affidato”, appunto, tradotto: “prenditene cura”. Siamo amministratori non padroni, non proprietari. Ciò significa che la vita che incontriamo innanzi al cammino, ovvero, “la persona” con una storia particolare, un nome, una cultura, una necessità, ha bisogno anche di noi. E, sull’esempio del buon samaritano, l’uomo è chiamato a “dare” qualcosa e probabilmente qualcuno. Un qualcuno che potrebbe essere “sé stesso”. Così ha fatto e insegnato Cristo. Cosa significa dare te stesso? Far sì che la vita intrecci e si interessi anche all’altra persona. Nel pieno rispetto della libertà di ogni uomo. Attraverso una relazione di prossimità. Relazione che consente all’uomo di tradurre una parola “amore” in un fatto “carità”. La logica del… “a chi è stato affidato molto, sarà richiesto molto di più”… forse ci sfugge ma dovrebbe continuare ad interrogarci. E se a noi, come popolo, sono stati “affidati come dono” i più deboli e indifesi, la vita innocente e la vita ferita, la vita abbandonata e la vita da compiersi? Sono doni? Quei doni a noi affidati, quei doni che non sono oggetti ma persone. Quelle persone che sono un prodigio unico e irripetibile ricevuto e accolto come dono. Impariamo tutti a prenderci “cura del creato e delle persone”, come da tanto tempo va ripetendo papa Francesco, imparando a spenderci e non a spendere, a darci e non a dare. Insomma fare della propria vita un dono, oltre che riconoscere gli altri come dono. È proprio questa la buona notizia che papa Francesco ha affidato al mondo per il nuovo anno appena iniziato: “la cultura della cura come percorso di pace”.

Domenico De Angelis

Domenico De Angelis è un appassionato della vita e la presentazione potrebbe finire qui. Perché la bioetica? Vediamo… ha cominciato il percorso di studi in Economia conseguendo prima la Laurea Triennale in Scienze Economiche (presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria), poi la Laurea Magistrale in Economia e Diritto (presso l’Università degli Studi di Messina). Successivamente, per rispondere ad alcuni interrogativi etici ha scelto di intraprendere un percorso più umanistico conseguendo la Licenza in Bioetica (presso l’Università Pontificia Regina Apostolorum di Roma). Attualmente è impegnato a divulgare questo studio attraverso articoli, interventi radiofonici e incontri organizzati in diversi contesti. La sua “mission impossible” è cercare di capire Nadia, la sua amazing fidanzata. Non riuscendoci ha scelto di amarla senza sé e senza ma. Il resto lo scoprirete lungo il cammino se lo incontrerete… per ora buona lettura. Ps. Non cercatelo sui social, non vuole esserci… per ora.