“Bioeticando” di Domenico De Angelis, ep. 4: La fondazione dell’atto medico
In tempi di emergenza è necessario parlare di attualità. E la bioetica non si esime dal compito di analizzare il contesto odierno. Per cui, quanto segue è una riflessione attorno ad un dubbio che, in questo periodo, aleggia mediaticamente e che, a mio parere (e anche di Saso) è meglio approfondire, per dare precise risposte ed evitare situazioni più complesse. Il dubbio è il seguente: è bene seguire gli esperti – in particolare i virologi – nel sistema sanitario in tempi di pandemia? Vi state chiedendo: Perché questo dubbio? In fondo perché si sono create aspettative troppo frettolose e poco aderenti alla realtà e, di conseguenza, quando i numeri ci restituiscono un dato poco incoraggiante si mette in dubbio il lavoro svolto finora. In fondo, è la dimostrazione della mente calcolante dell’uomo che emerge con chiarezza. Detto ciò cerchiamo di fare qualche precisazione. E cominciamo col trattare la fondazione dell’atto medico. Così avremo modo di riflettere sulla questione da un altro punto di vista. Il “patto medico” si fonda su un rapporto che, nel corso della storia, è stato sempre molto complesso. A maggior ragione oggi. Si tratta del rapporto tra il medico e il paziente, che è cambiato nel tempo, e non poco. È bene anticipare che nell’etica medica ippocratica questo rapporto era fondato sul modello della “beneficialità”. L’obbligo fondamentale del medico era di sollevare il paziente dalla malattia, alleviare la sofferenza, restituire per quanto possibile la salute. In nome di questo fine il presupposto stabilito esigeva una totale fiducia nel medico che la esprimeva con l’imposizione di una prassi medica da seguire. Ed era del medico la responsabilità di prendere delle decisioni nel bene del paziente. Questo atteggiamento è passato alla storia come “paternalismo medico”. Tale impostazione è rimasta immutata nella medicina fino alla prima metà del ventesimo secolo. L’epoca odierna, invece, si qualifica per l’affermazione del principio di autonomia che i codici deontologici hanno incorporato gradatamente. La storica impostazione alla beneficialità cominciò così a confrontarsi con un’etica incentrata sul paziente che enfatizzava la sua autonomia. Per semplicità diremo che un atto acquista così una connotazione positiva non tanto perché realizza il bene del paziente, quanto piuttosto perché deriva da una sua libera scelta. Non ci soffermeremo, al momento, sulle implicazioni anche filosofiche di tali scelte, ci limitiamo a dire, per ora, che qualcosa è cambiato e che all’interno dell’atto medico è inserito un altro presupposto: il consenso del paziente. La prima conseguenza è che l’intervento si potrà svolgere solo con il consenso – informato – del paziente e mai contro di esso. Tutto questo in via “ordinaria”, perché ci sono casi in cui il consenso trova dei limiti. E tra questi limiti ci sono quelli che interessano noi oggi. Infatti, accanto al limitato consenso per coloro che non hanno la capacità di fornirlo, ci sono anche dei casi nei quali il paziente stesso deve venire incontro a degli obblighi verso la propria vita e la propria salute e anche perché la società ha il dovere di custodire la vita e la salute dei cittadini e di ciò fa obbligo anche il medico. Ecco perché i virologi in questo delicato momento hanno voce in capitolo e devono essere ascoltati in campo sanitario. Ed ecco perché i politici dalla loro prospettiva, nella gestione della “cosa pubblica”, devono necessariamente tener conto di pareri e indicazioni espressi dagli esperti. Tralasciando momentaneamente il gioco del rimbalzo di responsabilità sulle scelte effettuate che, giova ricordarlo, sono scelte politiche. Ci sono priorità, come la salute, che vanno tutelati anche a scapito di complessi ragionamenti economicistici. Possiamo discutere se, nella prassi, alcune limitazioni hanno funzionato, se la scelta migliore sia stata quella adottata o no, se era possibile fare di più e meglio, ma ad oggi l’ascolto di esperti è essenziale. Il tutto in rispetto alle risorse a disposizione di ogni Paese. Su tale questione si potrà discutere approfonditamente. Per esempio, perché la disponibilità limitata di pochi tamponi, perché il ritardo nei test, perché i ridotti posti in terapia intensiva ecc. Per completezza richiamiamo un terzo elemento fondativo dell’atto medico, che è quello giuridico. Si tratta del fatto che la professione medica deve essere giuridicamente riconosciuta e qualificata, con la conseguenza che non può essere validamente esercitata senza un riconoscimento legale. Neppure quando l’atto fosse intenzionalmente rivolto al bene del paziente e avesse il suo consenso. In conclusione, per la fondazione dell’atto medico, dal punto di vista etico, si devono considerare tutte e tre le componenti: a) il bene del paziente, come elemento obiettivo e finalistico; b) il consenso del paziente, come elemento di soggettività; c) il riconoscimento giuridico, come componente sociale e garanzia di legittimità esigita eticamente.