L’essere umano nasce come un mosaico di percezioni pure e non filtrate, una coscienza fluida che si nutre di immagini, suoni, odori e sensazioni. Nei primi anni di vita, l’essenza originale, libera da separazioni e giudizi, si manifesta come un potenziale sconfinato di connessione con il tutto. Tuttavia, con l’acquisizione del linguaggio e l’interiorizzazione delle norme sociali, si assiste a una trasformazione profonda: l’Io emerge come un costrutto modellato dalla famiglia, dai caregiver, e dalla società. Questo Io, sebbene necessario per navigare nella complessità del mondo, si sovrappone all’essenza originaria, confinandola e reprimendola. Diventa un censore, un filtro che consuma enormi risorse psichiche per mantenere il controllo e aderire alle aspettative sociali, lasciando il bambino interiore intrappolato in un linguaggio simbolico inaccessibile. Questo processo genera una frattura interna che alimenta incomprensioni, sofferenze e un senso di alienazione. Eppure, l’Io non è il nemico. È uno strumento indispensabile, ma deve essere smascherato, liberato dalle maschere e ricondotto al suo scopo originario: interpretare la realtà senza identificarsi con essa. Solo così possiamo riconciliarci con il nostro sé più profondo, integrando le nostre parti interiori e riscoprendo la connessione autentica con il mondo. In questo saggio, esploreremo le implicazioni psicologiche, neurologiche e sociali di questa dinamica, proponendo un percorso di riconciliazione tra l’Io e il bambino interiore per una vita più autentica e consapevole. La Transizione da Essenza a Costrutto Gli studi sullo sviluppo del cervello umano suggeriscono che nei primi anni di vita la nostra mente opera principalmente in stati di coscienza associati alle onde cerebrali theta e delta, tipiche di un cervello altamente plastico e ricettivo. In questa fase, i ricordi si formano come una sinfonia sensoriale: immagini vivide, suoni evocativi, odori penetranti e sensazioni tattili che si imprimono nella nostra essenza in modo non verbale. È un linguaggio primordiale, fluido, che abbraccia il mondo senza separazioni, etichette o giudizi. Quando il linguaggio emerge, intorno ai 4-6 anni, avviene una transizione fondamentale: il cervello inizia a privilegiare la modalità verbale, registrando i ricordi sotto forma di narrazioni. Questo passaggio trasforma il modo in cui comprendiamo e memorizziamo le esperienze, ma al contempo crea una distanza dalla nostra essenza originaria. L’acquisizione del linguaggio coincide con l’interiorizzazione delle norme sociali e la nascita dell’Io, una struttura indispensabile per navigare nella complessità del mondo sociale, ma che spesso agisce come un filtro censore. Questo Io, costruito dalle agenzie educative, dalla famiglia, dai caregiver, dalla cultura e dalla società, utilizza le risorse psichiche del nostro essere originario per modellarsi e prendere forma. In questo processo, l’Io sovrascrive il “bambino originario” con un nuovo linguaggio e una nuova identità. I ricordi e le percezioni del nostro sé primordiale si fanno sempre più inaccessibili, sepolti in un linguaggio emotivo e simbolico che l’Io non è più in grado di comprendere. È come se una barriera invisibile ma potente si alzasse, separandoci dalla nostra essenza e lasciando il bambino intrappolato dietro il velo delle narrazioni verbali e delle convenzioni sociali. Questo processo può essere immaginato come un “incistamento” dell’Io, che si innesta sull’essere puro, trasformandolo in una struttura funzionale ma limitante. Il Bambino Intrappolato e l’Io-Censore L’Io adulto è un costrutto consumante, che richiede un’enorme quantità di energia per mantenere il controllo sulla nostra psiche. Sigmund Freud, nel suo modello strutturale della mente, descrive l’Io come un mediatore tra le pulsioni dell’Es e le richieste della realtà esterna. Per mantenere questo equilibrio, l’Io deve operare come un censore, reprimendo impulsi, desideri e ricordi che potrebbero disturbare la stabilità della coscienza. Questo processo, noto come rimozione, implica un consumo energetico elevato, poiché l’Io deve costantemente vigilare e sopprimere le manifestazioni dell’inconscio. Freud osservava: “L’Io non è padrone in casa propria; è come un passeggero che si illude di poter guidare la carrozza, mentre è spesso dominato da forze più profonde.” Questa immagine evidenzia la complessità dell’Io, una struttura indispensabile per vivere nel mondo, ma che può diventare un ostacolo quando si identifica esclusivamente con la propria maschera sociale. Se l’Io fosse libero di funzionare nel suo ruolo originario – un interprete della realtà e un mediatore tra il nostro mondo interno ed esterno – l’essere umano potrebbe raggiungere il suo massimo potenziale. Tuttavia, l’Io spesso si sovraccarica, tentando di reprimere il bambino interiore e di conformarsi alle aspettative sociali. In questo stato, consuma risorse psichiche e genera un senso di alienazione. Le Conseguenze di un Abuso Inconscio La repressione del bambino interiore non è solo un problema personale: ha conseguenze profonde sulla società e sul mondo. L’Io, separato dalla sua essenza, agisce come un usurpatore, incapace di comprendere le vere necessità dell’individuo. Questo stato di alienazione interna può manifestarsi in comportamenti distruttivi, sia a livello personale che collettivo. Molti dei mali del mondo – guerre, disuguaglianze, distruzione ambientale – possono essere visti come il risultato di questa separazione. Gli esseri umani, scollegati dalla loro essenza, cercano di riempire il vuoto interiore con il potere, il possesso, e il dominio sugli altri. Questo ciclo perpetua l’alienazione e la sofferenza, sia individuale che collettiva. Un’analogia illuminante si trova nell’organizzazione delle società e delle istituzioni. L’illusione dell’”io-pelle”, che percepisce confini rigidi tra sé e il mondo, si riflette nei confini degli stati-nazione. Così come l’Io protegge la propria sopravvivenza reprimendo il bambino interiore, i governi e le istituzioni spesso concentrano le loro energie nel mantenere la loro esistenza, anche a scapito dei valori originari per cui sono nati. Partiti politici, associazioni e organizzazioni non governative possono iniziare con nobili scopi, ma col tempo rischiano di ridursi a combattere per la propria sopravvivenza come entità, sacrificando gli ideali iniziali. Per esempio, partiti politici nati per promuovere giustizia sociale possono finire per concentrarsi solo sulla perpetuazione del loro potere, dimenticando il motivo per cui sono stati creati. Allo stesso modo, confini e barriere tra nazioni, pur essendo costruzioni sociali, diventano fonti di conflitto e divisione, mantenuti per paura della “morte” culturale o identitaria. Questa paura, simile a quella dell’Io che teme la propria dissoluzione, perpetua cicli di alienazione e conflitto. Un Cammino Verso…
Autore: sasotigani
SCARICA LA VERSIONE BETA DELL’APP PER ANDROID CLICCANDO QUI!E fammi sapere che ne pensi! 😉 Perché Prendere una Nuova Abitudine Perché Prendere una Nuova Abitudine… e Perché Farlo Moooolto Gradualmente? Quando si pensa a una nuova abitudine, la prima immagine che ci viene in mente è quella di un “nuovo me” radioso e super motivato, che alza pesi, medita, scrive romanzi o impara lingue al mattino presto. Ma chiariamo subito una cosa: iniziare una nuova abitudine, soprattutto se vuoi che duri nel tempo, non è una maratona… è più come un’escursione lenta e piena di soste. E sai cosa? Va benissimo così. Il Potere dei Piccoli Passi James Clear, nel suo Atomic Habits, ci spiega che un cambiamento duraturo nasce da miglioramenti minuscoli, spesso trascurabili a occhio nudo. L’idea è che non serve una rivoluzione personale, ma un’evoluzione graduale. Per esempio, se vuoi diventare una persona che corre ogni giorno, non iniziare provando a correre cinque chilometri; indossa le scarpe da corsa e fai un giro del quartiere. Solo uno. È meno impegnativo, ma sai cosa succede? Ogni piccolo traguardo porta un senso di soddisfazione e, con esso, una spinta a fare qualcosa di più domani. Questo è anche il messaggio di Il Potere delle Abitudini di Charles Duhigg: le abitudini funzionano come “loop” – routine che il nostro cervello automatizza. E se vuoi cambiarne uno, l’idea è semplificarlo il più possibile, sostituendo una piccola azione alla volta. Perché Fare le Cose Piccole È Così Potente? Quando ci impegniamo in microabitudini, il cervello non entra in modalità “resistenza al cambiamento”, ma piuttosto accoglie il cambiamento come una novità gestibile. I piccoli passi ti permettono di acquisire confidenza, e man mano diventa quasi naturale costruire su queste basi. James Clear usa una metafora efficace: un miglioramento dell’1% al giorno può portare a risultati straordinari nel lungo periodo. Non è il singolo passo a fare la differenza, ma la somma di tanti piccoli passi. Conclusione: L’Arte di Fare le Cose Piccole e il Trionfo della Costanza L’idea è prendere un’abitudine talmente semplice che risulti impossibile non farla. È una strategia intelligente, perché man mano che la pratichi, ti dimostri di essere costante, e la costanza costruisce la tua identità. In fondo, costruire una nuova abitudine non è un’impresa titanica: è la somma di piccoli impegni, giorno dopo giorno. L’1% alla Volta: La Magia dei Piccoli Passi Ti sei mai chiesto perché l’1% alla volta fa davvero la differenza? Potresti pensare che sia troppo poco, troppo lento, o che non porti risultati significativi. Ma lascia che ti spieghi con qualche esempio pratico. Immagina di voler imparare a meditare. Se pensi a una sessione di meditazione di mezz’ora o un’ora, può sembrare un obiettivo irraggiungibile, soprattutto se non hai mai praticato prima. Ma se cominci con solo 5 minuti al giorno, e lo fai per 20 giorni consecutivi, questo piccolo traguardo ti darà la spinta per fare di più. Poi, al ventesimo giorno, puoi aumentare il tempo a 10 minuti, mantenendo la stessa costanza. Il miglioramento non arriva dall’intensità del momento, ma dalla regolarità con cui pratichi. Con il tempo, quei 10 minuti diventeranno naturali, e ti sorprenderai di quanto potrai meditare senza fatica, magari passando a 20 minuti. Ma ricordati, l’importante è la costanza, e non saltare mai il passo che hai fatto. Ogni giorno, un piccolo miglioramento. Ora, pensa a un altro esempio: non hai mai fatto sport? È facile sentirsi sopraffatti dall’idea di dover fare un allenamento intenso. Ma perché non cominciare con 5 minuti di stretching al giorno? Se anche questo ti sembra troppo, fai le scale. Sali due gradini alla volta, lentamente, con calma, e fallo ogni giorno. Dopo venti giorni, potresti iniziare a fare anche qualche semplice esercizio di stretching. Non cercare di fare troppo, troppo presto. Un altro passo che puoi fare dopo i primi venti giorni è provare a toccarti la punta dei piedi, magari per 5 minuti al giorno. Semplice, ma progressivo. Se non sai come farlo senza farti male, cerca un personal trainer o guardati dei tutorial su YouTube. Impara da chi lo sa fare, in modo che tu possa farlo correttamente. Ricorda, il segreto non è fare tanto, ma fare qualcosa ogni giorno. Hai un’altra abitudine che vorresti prendere, come mangiare più lentamente? Molti di noi mangiano troppo in fretta, senza apprezzare il cibo. Ecco un’altra microabitudine da mettere in pratica: prima di iniziare a mangiare, guarda il tuo piatto per 10 secondi. Guarda il suo contenuto, senza fretta. Fallo a ogni pasto per venti giorni consecutivi. Poi, una volta che questa abitudine sarà entrata nella tua routine, aggiungi qualcosa di ancora più potente: gratitudine. Prima di ogni pasto, fermati e rifletti per qualche secondo su ciò che stai per mangiare. Hai un pasto caldo e nutriente tutti i giorni, qualcosa che tanti nel mondo non hanno. Aggiungere un sentimento di gratitudine può trasformare un’abitudine superficiale in una pratica che nutre anche la tua mente. Questi esempi sono fondamentali perché rappresentano la base di qualsiasi altra abitudine che vuoi prendere. Sono propedeutici, necessari ed essenziali. E non fermarti qui! Una volta che avrai acquisito la costanza, puoi aggiungere altri elementi al tuo percorso, come esercizi di visualizzazione. Se, ad esempio, hai già meditato per 40 giorni, prova a dedicare 5 minuti alla visualizzazione. Immagina i tuoi obiettivi, vedi te stesso come una persona che ha già raggiunto i suoi traguardi. Lavorare sulla tua mente ti aiuterà a radicare meglio anche le tue nuove abitudini. La Scienza Dietro alle Abitudini La scienza ci dice che, in media, ci vogliono circa 21 giorni per iniziare a formare una nuova abitudine. Questo periodo di tempo può variare da persona a persona, ma la costanza è sempre la chiave. Ecco perché avere uno strumento che ti aiuti a tenere traccia dei tuoi progressi è così importante. ThatSaso’s MicroHabitsTracker è progettata per aiutarti a monitorare ogni piccolo passo che fai, così puoi vedere come, giorno dopo giorno, i tuoi progressi si accumulano. Immagina di vedere ogni giorno…
Corri, corri, zia Maria
Ma attenta a non inciampare! Gioca dal tuo cellulare (Android o iPhone) cliccando QUI! Gioca da PC o MAC cliccando QUI! Oppure scarica l’APP per il tuo cellulare android cliccando QUI! Credits: Designed by ThatSasoMusic by Vlad Krotov from PixabayRingraziamenti: Poorgamedev AAAAH! LA CLASSIFICA DEI VOSTRI PUNTEGGI È QUI!
Caro Amore
“Capo, oggi è il mio anniversario di matrimonio”, così gli ho detto. Non ho fatto nemmeno un’assenza, quest’anno, con l’eccezione di quella volta che mi sono ustionato con l’olio bollente. E comunque, quella volta non è stata colpa mia, ma del giunto della friggitrice che si era allentato: “Non mi sono lamentato, non ho denunciato e due giorni dopo sono tornato al lavoro, con questa cicatrice qua”. Così gli ho detto e poi gli mostrato il polso sfregiato. “Va bene”, ha risposto, e anche se si vedeva che era un po’ incazzato, mi ha fatto uscire tre ore prima. Mentre corro sotto la pioggia, e prendo le curve della Salaria a cento all’ora, mi domando se forse non ho esagerato a minacciarlo. Dio sa quanti problemi mi darebbe perdere il lavoro, soprattutto ora che Mara e io ci stiamo riprovando. C’è un posto libero sul marciapiede sotto la bretella. C’è il divieto di sosta ma non credo che, con questo tempo, passeranno i vigili. Mi affretto sotto i balconi ed entro nel negozietto dell’indiano, dove compro il radicchio e gli straccetti di pollo. Prendo anche la torta, una torta grande così, e dieci candeline. Chiamo l’ascensore ma ho fretta, devo mettermi a cucinare, perciò faccio le scale. Sono sette piani: non è una grande idea, lo ammetto, ma sapete com’è la fretta. Mara stacca da Panorama alle nove, quindi ho meno di quattro ore per organizzare la mia sorpresa. Apro la porta mentre un tuono potente fa tremare tutte le finestre, mi tolgo le scarpe fradice e corro in cucina a posare le buste della spesa sul piano di lavoro accanto al lavello. Poi apro il tavolo pieghevole e avvicino i due sgabelli alti. L’appartamento non è grande, due piccole camere da letto e un salotto con angolo cottura, ma siamo all’ultimo piano e da contratto ci tocca un pezzo di terrazza coperta. Se non piovesse così forte, apparecchierei fuori. D’istinto, mi giro verso la porta-finestra e impreco tra me e me: Addio, sorpresa. Mara è là fuori, seduta sui gradini interni della scala antincendio e lo sguardo rivolto verso la costa. È rientrata prima anche lei. Vedete, amarsi come ci amiamo noi ha anche degli effetti collaterali: per esempio ci vengono le stesse magnifiche idee. Noto che ha una sigaretta in mano e la cosa un po’ mi dispiace. Il medico gliele ha vietate e in effetti è da quando siamo andati a visita che non la vedo con una di quelle schifezze. Ma oggi facciamo dieci anni di matrimonio e, me ne dimentico sempre, quest’anno compiamo entrambi quarant’anni. Quarant’anni: suona così male, considerato anche il fatto che, per vivere, io friggo patatine in un McDonald’s e lei sta alla cassa di un ipermercato per quasi dieci ore al giorno. Immagino che in questi giorni sia venuto qualche brutto pensiero anche a lei. Svuoto le buste e tolgo la torta dalla confezione, apro il frigo e comincio a liberare il ripiano più alto, quando noto che sul microonde, accanto agli integratori e alla confezione aperta di un test di gravidanza, c’è una busta da lettere colorata. La prendo e comincio a strapparne il lato corto. Dentro ci sono un paio di pagine scritte a mano nella sua bella calligrafia azzurra. “Caro amore, io ti amo così tanto”. È da un bel po’ che non ci scriviamo. Quando ci siamo conosciuti, venti anni fa, lei viveva al Nord e io qui, ma in provincia. Avevo sbagliato l’ultima cifra del numero di cellulare di un amico e mi aveva risposto lei: quando si dice il destino. Per anni, ci siamo mandati delle lunghe lettere. Poi, lei ha perso il lavoro a scuola e io le ho proposto di venire a Roma, a vivere con me. Ci siamo scritti anche dopo che ci siamo sposati, però: è bello scriversi le cose. Ci siamo confessati i nostri segreti più grandi, nero su bianco. Abbiamo smesso qualche anno fa, quando ci siamo trasferiti in città e ci è successa quella cosa brutta. Sono davvero felice che oggi lei abbia ripreso la tradizione. “Ti amo così tanto che non lo contengo. Devo pronunciare il tuo nome a voce alta perché a tenerlo dentro cresce ed esplode. Devo scriverti perché pensarti fa male. Ti amo, amore caro, e non si può smettere di amare in questo modo. Come un’esplosione che una volta innescata non può essere fermata: così ti amo, amore”. Alzo gli occhi dal foglio e la guardo, mentre scruta ancora da quella parte, verso il mare nascosto dalle ciminiere delle vecchie fabbriche di detersivo. Da lì si vedono anche i grandi magazzini in cui lavora da ormai qualche anno. Dopo che anche l’asilo privato in cui aveva tentato, per un’ultima volta, di far valere la sua qualifica di assistente educativo aveva chiuso per debiti, Mara si era dovuta organizzare. Invio un sorriso segreto verso di lei e, con gli occhi un po’ umidi, torno a leggere. “Siamo stati come uccelli, io e te: cambiava la tua direzione al cambiare della mia. Siamo stati come api o formiche, coordinati oltre il tempo e lo spazio. È stato così da quando ci siamo visti per la prima volta, sul prato della mia scuola. Da quando sei caduto all’indietro mentre io cadevo in avanti a mia volta, e hai allungato una mano per ripararti e io sono atterrata sulla tua. È andata così per così tanto tempo”. Il ricordo di quel giorno mi fa ridere, ma cerco di trattenermi: voglio finire di leggere prima che si accorga che sono rientrato. Non voglio metterla in imbarazzo o rovinarle la sorpresa. “E ci siamo mossi insieme, come ballerini al ritmo della stessa musica invisibile, fin dentro le tempeste della vita. Sei così bello, amore mio. Ogni volta che chiudo gli occhi, ti vedo ancora. Mentre respiro, sento il tuo odore. Se allungo una mano, anche adesso, che sei lontano, se tendo una mano posso toccarti”. Guardo di nuovo verso di lei e per un attimo mi sento mancare…
Alla ricerca delle “Radici” di Cinquefrondi [VIDEO]
La trasmissione di Telemia “Radici” dedica un’intera puntata a Cinquefrondi (RC), il paesino ai piedi dell’Aspromonte che ha avuto la (s)fortuna di darmi i natali. Nel video, ci sono io che dico cose. Ma anche tante altre persone che cantano, danzano, spiegano, cucinano e mangiano. Buona visione
I Bronzi di Riace erano 5 – Il viaggio degli eroi di bronzo raccontato bene [VIDEO]
All’interno della splendida cornice di Taurianova Legge, abbiamo avuto il piacere di festeggiare il compleanno del ritrovamento dei Bronzi di Riace, insieme al collettivo Dan Faton, composto dagli esperti di fama internazionale l’archeologo Daniele Castrizio, lo storico Fabio Cuzzola e l’economista e sociologo Tonino Perna. Tante le informazioni e tantissimi gli spunti di riflessione forniti dai tre autori, insieme a un piccolo grande scoop in anteprima che ci ha lasciati scioccati. Vedere per credere.
Come sopravvivere a Salvatore Tigani [VIDEO]
All’interno della splendida cornice di Taurianova Legge, abbiamo avuto il piacere di organizzare un piccolo show per presentare l’ultima edizione del mio primo libro e la prima edizione del mio ultimo libro. Con Raffaella Marzano, Domenico Campolo, Francesco Siciliano, Vincenzo Condò e i padroni di casa Maria Fedele e Torroneria Murdolo. Un evento PAZZESCO. Speriamo vi divertiate a guardarlo così come ci siamo divertiti noi a metterlo in scena. S.
Incontro con l’artista Domenico Campolo (e link a tutti i suoi libri gratis)
Ho il piacere e l’onore di ri-presentarvi Domenico Campolo nelle sue quattro (per ora) incarnazioni letterarie. L’autore ha scritto quattro importanti libri, che non hanno mai visto una versione cartacea per una precisa scelta etico-editoriale: la cultura, secondo il nostro, a volte va regalata. Ed ecco quindi che vi regaliamo la versione PDF, scaricabile cliccando sulle copertine, delle sue quattro opere, già campioni di download durante il primo lockdown all’interno dell’iniziativa lanciata da questo blog “Libri gratis: gli autori calabresi contro il corona virus“. Buona lettura, S.T. Il Dio Delle Formiche di Domenico Campolo (PDF) Il “Dio delle formiche” è un’opera unica nel suo genere. Il racconto segue la struttura della tragedia greca, affidando però la narrazione degli eventi, tutti legati da una forte morale, a burattini. Gli eventi e le storie così veicolate parlano allo spettatore nel suo intimo portandolo a riflessioni di ampio respiro, in una lettura semplice e mai noiosa con ritmi cadenzati e onirici, fino al tragico e commoventissimo epilogo che, siamo sicuri, non mancherà di sciogliervi il cuore. (Ce ne parla l’autore in persona qui).. . . . . . . . Son dunque un Pittore di Domenico Campolo (PDF) Son dunque un pittore è un foto-diario. Un racconto fatto di immagini e testo, riflessioni e citazioni attraverso una densa vita vissuta e raccontata per mezzo della fotografia. Un libro immediato, coinvolgente pieno di immagini mozzafiato che gridano a gran voce la voglia di vivere e la necessità di conoscere e raccontare il mondo. (Ce ne parla l’autore in persona qui).. . . . . . . Lo Zingaro di Domenico Campolo (PDF) “Lo Zingaro” è una raccolta di poesie durata 4 anni. Uno stile ermetico, onirico, a tratti profetico e a tratti epico. Una lettura intensa, dolorosa, cupa… Una prosa che ha lenito i turbamenti dell’autore ma che potrebbe condurvi in abissi di tormento e angoscia. (Ce ne parla l’autore in persona qui). . . . . . . . . Il paese dei portoni vacanti di Domenico Campolo (PDF) Il Paese dei portoni vacanti è un piccolo comune della penisola Italica. È l’ombra di ciò che era un tempo, un paese che sta lentamente morendo. Attraverso i colori e le ricercate forme delle sue porte questo piccolo libro fotografico, si propone come obbiettivo quello di mostrare l’importanza della memoria e al contempo denunciare un perverso gioco delle parti dove domanda e offerta non trovano punti di contatto. Il paese dei portoni vacanti è la storia di ogni piccolo comune sia a nord che a sud, anche il tuo. (Ce ne parla l’autore in persona qui). . .
Star Wars + Geologia = Calabria
Quando il mio socio Michele George Lucas Ieraci venne a dirmi: “oh, Saso, giriamo un cortometraggio su Star Wars in Calabria nei posti della nostra splendida regione che somigliano per fauna, flora e caratteristiche geologiche ai mitici pianeti della saga fantascientifica più famosa di tutti i tempi” io sorrisi e dissi “Minchia, di meno niente?”, nel senso che, oh, qui si parlava di set naturali diversi, alcuni estremi, costumi, effetti speciali, droni… e noi eravamo quattro amici al bar, anzi all’inizio solo due, con venti milalire sciancate nella tasca e qualche nozione tecnica mutuata da un curriculum lungo ma amatoriale di nerd fruitori estremi di cultura pop. Però, come disse una volta Rocco Siffredi, più il gioco si fa duro e più i duri… no, aspe’, com’era? Va beh, avete capito: accettai la sfida. Mike mi inviò il soggetto e mentre io lavoravo allo storyboard (una bozza, eh, scarabbocchiata a penna su dei fogli di carta riciclati, non vi pensate chissà che) lui fabbricava i costumi, le armi e faceva persino le ricognizioni nei posti più belli del nostro sottostimato territorio. Quindi salirono a bordo Antony Mandaglio, Domenico Menga Manferoce, Vincenzo Papalia, Walter Amato e Francesco Paolo come attori alla loro prima prova, i fotografi Tiziana Surace e Giuseppe Cremona come operatori di camera e altri che non riesco a taggare ma li trovate nella schermata finale del video (mettete pausa ché ognuno di loro si merita un applauso, secondo me). Quindi Mike produce, scrive, io dirigo e monto quello che, ah già, questa cosa non ve l’ho detta, avrebbe partecipato a un concorso internazionale organizzato tra gli altri da Focus e dalla Società Geologica: ON THE ROCKS: raccontare la geologia attraverso il cinema (una cosa così, se googolate trovate una descrizione più precisa e gli altri video in concorso). Girammo per una settimana, in tutti i sensi – girammo in macchina per km e km di strade e stradine sgarrupate e girammo km e km di pellicola digitale. Un giorno un attore non venne e io dovetti indossare (disonorevolmente) i panni di Palpatine. Noleggiammo persino un drone con 90 mila lire, uno di quelli che la fotocamera del mio cellulare li faceva meglio i video, ma, oh, il dronista fu bravo e vennero delle belle riprese aeree. Ma non sta a me dirlo, attendo i vostri feedback. Insomma, dopo altre due settimane di montaggio e missaggio audio, quest’ultimo a opera dell’ottimo Francesco Muratore, inviammo tutto al concorso e incrociammo le dita. Avremmo concorso contro tutto il mondo, quindi, che ne so, fossimo arrivati tra i finalisti saremmo stati contenti lo stesso. Ma alla fine arrivammo secondi. Dietro a una squadra di argentini. T’oh. Il video fu mandato per molto tempo sui canali internazionali, lo vedemmo sul satellite grazie a Focus, e poi girò un po’ sulle pagine del concorso. Oggi, a tanti anni di distanza, ve lo ripropongo. Fateci sapere che ne pensate e… buona visione.
Il blocco dello scrittore è un luogo della mente
A proposito del blocco dello scrittore, nel corso degli anni mi sono fatto un’idea personale e cioè che le cause possono essere due e tutte e due risolvibili. Se davanti a un foglio bianco, digitale o cartaceo che sia, rimani incantata come un coniglio in mezzo all’autostrada, può essere che tu non abbia nulla da dire OPPURE che tu non sappia come dirlo. Nel primo caso, ci sono molte tecniche e innumerevoli consigli per trovare ispirazione, per riconoscere una storia quando la incontri o, la mia preferita, per scoprire che la tua stessa vita è ricca di storie che hai vissuto o di cui sei stata testimone inconsapevolmente. Quando hai qualcosa da dire, tanto sbatti che, quella cosa, stai tranquilla verrà fuori. Spesso, però, questo è il secondo caso, hai qualcosa da dire, ma non hai idea di come farlo. O meglio, magari un’idea ce l’hai, ma nel 99% dei casi è sbagliata. È il caso di quegli aspiranti scrittori che credono di essere arrivati prima ancora di essere partiti e che non sanno che qualsiasi viaggio parte con un primo minuscolo passetto, ma che, in ogni caso, quel piccolo passetto dovrà essere seguito da milioni di altri, molti dei quali falsi. Sono quelle persone che snobbano la tecnica e le regole perché, secondo loro, l’arte non ha regole, dimenticando che uno dei compiti dell’arte è imitare la natura, raccontare la bellezza, restituire al lettore o allo spettatore uno sguardo onesto, sincero e personale sull’esistenza. E la natura, la bellezza e l’esistenza, fateci caso, seguono delle regole precise, che si sono evolute con la natura, la bellezza e con noi stessi. Prendiamo l’esempio della fotografia e della regola dei terzi: non è stato un professore a decidere dall’alto che una foto funziona meglio se rispetta certe proporzioni e prospettive, ci si è semplicemente accorti che la natura lo fa e che quindi la foto, per essere meglio “leggibile”, deve rispettare quelle stesse regole. Tornando a noi, se pensi di avere una storia, ma davanti al foglio bianco ti blocchi, è perché forse quella che hai ancora una storia non è: è un abbozzo di idea, forse, o un’insieme di scene scollegate tra loro che, dentro di te, smuovono qualcosa, ma non sei nemmento tu sicura di cosa; forse è uno spunto, da cui partire per fare una riflessione su te stessa e sulle tue idee, prima che sulla storia che da te stessa e dalle tue idee, prima o poi, se persevererai con passione e onestà intellettuale verrà fuori. Ecco quindi che prendere un libro altrui, l’opera di un autore che ti è particolarmente piaciuta se non proprio il libro di un classico della letteratura, e analizzarlo con gli strumenti della narratologia potrebbe aiutarti a sbloccarti. Personalmente, quando ho in mente un abbozzo di storia, vado alla lavagna e la riempio di post-it. Su ogni bigliettino un pezzetto di quella idea. Aiutandomi, poi, con la divisione in atti aristotelica o con gli strumenti del viaggio dell’eroe di Campbell o con quelli di quanti hanno definito il così detto Arco del personaggio, butto giù una scaletta. Metto ordine nella mia testa, porto allo scoperto i “buchi” e li riempio, scopro le contraddizioni e le risolvo. E piano piano l’ossatura è pronta. Quando, alla fine, arrivo sulla tastiera e apro un file word so già cosa dovrò scrivere nel primo capitolo, con quale personaggio o scena inizierà il romanzo, cosa succederà a metà percorso e quale evento darà il via al terzo atto. Curiosità: il canone aureo, applicato in fotografia, viene applicato (o rintracciato) nelle sceneggiature (da scrivere o già scritte in tempi in cui nessuno ancora aveva parlato di archetipi, funzioni, regole auree, ecc.). Come si risolve questa situazione perniciosa detta blocco dello scrittore, dunque? Facendo la pace con se stessi. Smettila di prendertela perché “non esce niente” dalla tua penna, torna all’inizio e parti dallo spunto che ha acceso una lampadina nella tua testa. E, se è il caso, spegni quella lampadina e cerca altre luci nella tua esperienza o in quella delle persone che conosci. Il mondo è pieno di storie da raccontare, ma noi ci innamoriamo di noi stessi a tal punto che a volte delle cose che scriviamo (le parole che pensiamo, le opinioni che esprimiamo,…) ci innamoriamo e piuttosto che rinunciarci ci convinciamo che la colpa è degli altri, di dio o, appunto, di questo fantomatico blocco dello scrittore. Nel tempo libero faccio mentoring a un paio di ragazzi. Li seguo dall’idea alla progettazione della storia fino alla prima bozza. Poi gli tolgo le rotelle e li lascio cadere altre cento volte prima di tornare a dargli una mano diversa sulla seconda e terza bozza. Uno di loro aveva già scritto metà di quello che già definiva “romanzo” prima di venire da me. Ci sono voluti mesi per convincerlo che quello che stava scrivendo non era un romanzo, ma somigliava molto più a un temino o a un fatterello. Quando ha capito, ha strappato tutto, è tornato alla idea originale, l’abbiamo messa sulla lavagna e tre settimane dopo è tornato al file word. Ha scritto in due giorni un incipit di venti pagine, un primo capitolo lungo che in seconda bozza verrà sforbiciato senza pietà ma che, già così, lo invoglia a scrivere il secondo capitolo. E sappiamo già cosa Mauro (l’autore) scriverà nel terzo e poi nel quarto e così via, e cosa succederà a Emily (la protagonista) nel secondo capitolo, nel terzo, a metà romanzo e nel finale anticlimatico. Il blocco dello scrittore, amici, secondo me non esiste: è solo un modo che la nostra mente ha per dirci che siamo egocentrici, edonisti o semplicemente impreparati (nella meno offensiva accezione del termine: io stesso sono impreparato di fronte alla seconda bozza del mio romanzo e da qualche giorno sono tornato alla lavagna, a darci dentro di “limae labor”). Tutto questo può suonare un po’ zen, lo so, ma, anche qui, lo zen non è un modo per descrivere come funziona l’esistenza?