2 – Giovani e lavoro
Enrico ha ventisei anni e lavora in uno studio di commercialista. Apre l’ufficio alle 9, accende i computer, registra le ultime fatture arrivate via mail la sera prima dopo l’orario di chiusura, e attende il suo datore di lavoro, che occupa l’ufficio accanto al suo. Per tutto il giorno, appronterà bilanci, incontrerà i clienti, compilerà modelli 740 e alle sette di sera, dopo che i colleghi e il capo sono andati via, chiuderà tutto lasciandosi il lavoro alle spalle fino all’indomani mattina.
A Enrico piace il suo lavoro e non si lamenta nemmeno della paga che, stringendosi nelle spalle, alla fine ritiene “sufficiente al sostentamento di un single convinto come lui”. Ma c’è un problema: per tutta l’intervista Enrico si dimentica di dirci che non è assunto. “Ah, scusatemi, lo do sempre per scontato. Io lavoro con partita IVA”. Cosa che in teoria vorrebbe dire che lavora come libero professionista ma che in sostanza significa che il suo datore di lavoro scarica tutto il peso fiscale su di lui. “Beh, sì, in fondo è così”, ammette, ma non sembra dargli fastidio, “però lavoro qui da cinque anni ormai, mi trovo bene”. Enrico non ha tredicesime, malattie pagate, versa da solo una percentuale spropositata di contributi INPS (è nel regime forfettario, quindi ogni anno versa in contributi pensionistici oltre il 25%, più le tasse, IRPEF, pari a un altro 15%) e non ha nessuna tutela contro il licenziamento ingiustificato. Però fa orari d’ufficio, lavoro d’ufficio e ha responsabilità da lavoratore dipendente. “Anche da dirigente, a volte”, ci rivela sorridendo. Come lui, d’altronde, centinaia di persone accettano questo compromesso ritenendolo persino favorevole per entrambe le parti. Il costo del lavoro è enorme, per le aziende, i dati ISTAT lo confermano rilevazione dopo rilevazione, ma la tassazione sulle partite iva, come abbiamo appena visto, nemmeno scherza.
Abbiamo incontrato due giovani informatici che, da qualche anno, si arrabattano nel tentativo di fornire un servizio di consulenza grafica e di web design alle aziende calabresi che, solo recentemente, hanno cominciato a scoprire la dimensione social del proprio mercato. “Loghi e siti internet, qui da noi, raramente sono in cima alle preoccupazioni dell’ufficio marketing. Le aziende calabresi e del Sud in generale continuano a trascurare l’incredibile impatto di Internet e, soprattutto, dei social network come Facebook e Instagram, sul pubblico”, dice Francesco, web designer. “Non solo”, interviene il suo socio Girolamo, grafico e illustratore, “basta dare un’occhiata alla maggior parte dei loghi: è difficile trovarne che non sembrino etichette anni sessanta, pieni di scritte, di numeri, persino indirizzi! Quello che stiamo cercando di fare, da qualche anno, è di portare valore aggiunto a queste aziende tradizionali, catapultandole nel terzo millennio”. E funziona? “Molti hanno recepito, con altri stiamo lavorando e sono sicuro che, piano piano, riusciranno anche loro a vedere l’enorme potenziale di un sito internet ben fatto o di una efficace comunicazione Facebook. Il resto invece è… disastroso”. Come mai? “Beh, a partire dall’aspetto più importante: sapete quanto lavoro c’è dietro alla costruzione di un sito internet? Progettazione, design, assemblaggio, compilazione, ottimizzazione e inserimento testi, e poi il SEO, il debugging finale…”. Beh, sì, è comunque un lavoro specializzato. “Esatto! Ma sapete cosa ci rispondono la maggior parte dei clienti quando diamo loro i preventivi? Cose del tipo: ‘tutti questi soldi per un sito internet?!’. Come se stessimo parlando di qualcosa di frivolo e inutile, un semplice vezzo che, ormai, vogliono tutti”. È la classica strategia del “A questo punto me lo facevo fare da mio cugino, che smanetta, pure lui, col computer…”. Ma il problema non è solo formale: “Molto spesso quindi, dopo svariati incontri e molte ore spese a preventivare, abbozzare una grafica, fare avanti e indietro dal potenziale cliente, ci vediamo rifiutato il lavoro. E anche quando lo otteniamo, ci fanno dannare per mesi e alla fine tirano sul prezzo”. Francesco si mette una mano sulla fronte e muove la testa sconfortato. “Per non parlare del recupero crediti: noi fatturiamo tutto e paghiamo un mucchio di tasse su soldi che, nel migliore dei casi, recuperiamo a piccoli tranci in uno o due anni. E solo se facciamo la spola continuamente dal committente”. È mai successo di aver consegnato il lavoro e non essere mai stati pagati? “Sì, alcune volte. Troppe, in realtà. Ma cosa fai? Denunci per duemila euro? Con i tempi della giustizia – e con i suoi costi – non ti conviene. Ormai mettiamo in conto anche questo e ci limitiamo a chiedere un anticipo”. Per quanto riguarda la concorrenza? “Eh, altra piaga. C’è il nero, che ci distrugge, e i ragazzini appena usciti dagli istituti tecnici che svendono il mestiere del webdesigner consegnando alle aziende semplici e arraffazzonate pagine web che, spesso, non hanno nemmeno la grafica ottimizzata per dispositivi mobili”. Girolamo, prima di salutarci, chiosa: “Abbiamo deciso di tirare un altro anno al massimo, ma se continua così andremo via”. Dove? “Speriamo all’estero, ecco perché nei prossimi dodici mesi approfitteremo per studiare l’inglese”.
Domenico invece fa l’idraulico e dopo dieci anni di lavoretti alla giornata ha deciso di fare il grande salto: aprire una partita iva, comprare un Fiorino e prendere un aiutante. “Negli ultimi anni ho avuto molte richieste, forse perché sono diventato sempre più bravo, e anche se qui nella Piana ci sono molti idraulici io sono riuscito a farmi una cerchia di clienti fidati, che mi raccomandano agli amici e gli amici ai loro conoscenti e così via di passaparola. Alcune cose, però, senza partita iva non potevo farle…”. Che tipo di cose? Prima qual era la tua posizione? “Se mi prometti di farmi restare anonimo te lo dico”. Ovviamente Domenico era un altro delle centinaia di lavoratori in nero della zona.
Un recente studio di Censis-Confcooperative ha rivelato che tra il 2012 e il 2015 l’occupazione regolare in Italia si è ridotta del 2,1% mentre quella irregolare è aumentata del 6,3%, per un totale oltre 3,3 milioni i lavoratori. Il maggior numero di lavoratori irregolari (146mila) è proprio in Calabria, dove l’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale ha toccato il 9,9%, cioè a quasi il doppio del dato medio nazionale (5,2%). Sono oltre 146 mila soggetti sconosciuti ad Inps e Inail. “Non conosco questi dati”, ammette sconsolato Domenico, “ma posso giurarti che se non avessi fatto così sarei morto di fame molto prima”. Molto prima? “Sì, perché adesso, che ho aperto una partita iva e messo tutto in regola, con una persona che lavora per me, le rate del furgone da pagare, qualche attrezzo in più che ho comprato, le tasse altissime, tutto il lavoro che riesco a fare in un mese non basta. E di lavoro ne ho, semplicemente non ce la faccio, per quanto possa lavorare. Dovrei prendere un’altra persona con me, ma aumenterebbero le spese, oppure dovrei alzare i prezzi, e perdere così molti clienti. Figurati che adesso sono io a inveire contro la concorrenza sleale di chi lavora in nero, ma lo faccio bonariamente, sia chiaro, perché non solo ci sono passato, ma combatto tutti i giorni contro l’idea di fare un passo indietro”.
Se avesse una bacchetta magica o una lampada di Aladino, cosa chiederebbe per sé? “Sai cosa? Un posto al municipio. E le preoccupazioni del dipendente medio sulle buste della spesa che costano 15 centesimi, gli 80 euro di renzi che non mi toccano, le ferie che sono sempre troppo poche”. Lo sfogo continua, con qualche invettiva irripetibile, qui ci limitiamo a riportare l’enorme sconforto con cui Domenico, 45 anni, due figli, una casa in affitto, termina il nostro colloquio redarguendo lo Stato: “Dovrebbero smetterla di preoccuparsi degli immigrati che vengono a rubarci il lavoro. Qui ce lo rubiamo da soli, quello che c’è, e quello che guadagniamo ce lo ruba già lo Stato con le tasse”.
Salvatore Tigani
(Apparso sul Quotidiano del Sud il 9 luglio 2019)
(2-continua)