4 – Diritti negati e precarietà
PROSEGUE il viaggio del Quotidiano del Sud nel mondo del lavoro, attraverso le problematiche a esso collegate. Dopo la pausa estiva torniamo a parlare di lavoro, concentrandoci ancora una volta sulla situazione emergenziale che interessa il territorio della Piana di Gioia Tauro. Dopo aver sentito opinioni, paure, difficoltà e speranze dei giovani impiegati nei più disparati settori lavorativi, questa volta la questione viene analizzata dal punto di vista delle organizzazioni sindacali che operano sul territorio.
Il tutto, partendo da un dato bene preciso: più di un lavoratore su tre, in Italia, non trova lavoro, ma è nelle regioni del Sud che il dato da allarmante si fa spaventoso: una intera generazione di giovani meridionali è fuori dal processo produttivo e continua ad an- dare via, spopolando anche le aree interne.
Un’emorragia sociale
«È un’emorragia sociale», a definirla così è Celeste Logiacco, 37 anni, segretaria generale della Cgil di Gioia Tauro da quando ne aveva 34, ma da sempre impegnata nel sindacato al fianco dei lavoratori, distinguendosi, tra l’altro, per l’impegno al fianco dei migranti della tendopoli di Rosarno e San Ferdinando e dei lavoratori dell’agricoltura. «Precarietà, riduzione dei diritti, frammentazione del lavo- ro sono stati gli effetti delle politiche di austerità messe in campo per affrontare la globalizzazione, politiche che si sono rivelate fallimentari soprattutto nel dare risposte alle nuove diseguaglianze. Gli indicatori economici peggiorano giorno dopo giorno, così come peggiora il divario di sviluppo tra le diverse aree del Paese, in particolare tra il Mezzogiorno e il Nord». L’occupazione è un’emergenza, in particolare tra i giovani e le donne, e il tessuto sociale non può che risultarne impoverito, divenendo facilmente fertile per i fomentatori di odio. Ricordiamo soltanto come il tasso di occupazione attuale sia del 30% circa, con ben 20 punti percentuali di scarto rispetto al Nord
del paese. «Il Tasso di disoccupazione è addirittura il triplo rispetto al Nord», aggiunge Logiacco, «e il doppio di quello del Centro Italia». Ci sono stati degli interventi legislativi, in questa direzione, e tante sono state le misure adottate negli ultimi anni per venire incontro a questa situazione. «Interventi e politiche fallimentari, ma non poteva essere altrimenti, visto che non erano sostenute da politiche industriali concrete e reali investimenti, ed è mancato un sostegno alla qualità del lavoro e al suo riconoscimento sociale ed economico. I dati più allarmanti riguardano infatti l’esplosione di ciò che state rilevando anche voi, con la vostra inchiesta: il lavoro povero, sotto-retribuito e irregolare».
Diritti negati
Nelle puntate precedenti, abbiamo intervistato molti giovani che ci hanno raccontato di come, per esempio, dichiarano di percepire uno stipendio congruo ma sono co- stretti a restituirne la metà al datore di lavoro, o di come il datore di lavoro spesso trattenga le tredicesime, gli 80 euro di Renzi e gli altri contributi. La maggior parte degli intervistati, tuttavia, ha chiesto di rimanere anonima, e di fronte alla possibilità di denunciare o di andare dal sindacato si è dimostrata pessimista: la conseguenza di una azione del genere, sarebbe stata, secondo loro, la classica caduta dalla padella nella brace. «È di diritti negati che stiamo parlando», dice Logiacco, «ma spesso i lavoratori non lo san- no nemmeno di avere certi diritti.
Abitiamo un territorio molto complesso e compromesso, dove anche e soprattutto il mercato del lavoro è inquinato: perché non vengono rispettati i contratti, i ragazzi assunti restituiscono parte dello stipendio, c’è uno sfruttamento di fondo che è diventato quasi la prassi… Vengono da noi, ma quando si deve andare avanti, avviare una vertenza, le paure manIfestate sono le stesse che avete raccolto anche voi. Dicono: “se sanno che ho parlato con il sindacato è un problema, se denuncio poi non verrò più assunto da nessuno”. È difficile trovare il coraggio, ed è anche comprensibile». Alcuni non sanno nemmeno cos’è una vertenza. «Vero. Perché il più delle volte sono giovani, ragazzi che vengono assunti per la prima volta, che disconoscono anche quelli che sono i propri diritti in base al contratto che hanno, al di là di quelli firmati dalle organizzazioni confederali.
Alcuni disconoscono la legge del lavoro e non sanno nemmeno ciò che hanno firmato. Capite bene che avviare una vertenza è difficilissimo, in questo scenario. Per questo motivo noi andiamo nelle scuole, li informiamo prima che abbiano a che fare con il mondo del lavoro, perché en- trino nel mondo del lavoro pronti, preparati, consapevoli delle regole del gioco, di diritti e doveri.
Se i giovani che avete intervistato, Enrico, Matteo, Alessia, e tutti i giovani che non vogliono e non possono mettere la faccia si unissero, se capissero che si possono unire, beh, io credo che in questo modo sarebbe possibile cambiare le cose. Di questo parliamo nelle scuole, lì li informiamo, gli dimostriamo che l’unione davvero fa la forza. Anche perché l’alternativa, altrimenti, è quella di andare via. Ma se tutti andiamo via… cosa resta della Calabria? Se tutti andiamo via, in questa terra non cambierà niente».
Il sindacato fa la sua parte
In Calabria non c’è una grande cultura del sindacato, come in Emilia- Romagna, o in Lombardia. Qui ci si iscrive al sindacato quando si è in difficoltà, cosa che
ha un peso assai diverso, anche nelle trattative: «Se a un tavolo rappresenti dieci perso- ne è un conto, se ne rappresenti cento… capisci che è diverso».
Cgil è il primo sindacato italiano e conta quasi 14 mila iscritti nella piana di Gioia Tauro, dato che oscilla con il numero di assunzioni, le Naspi e le disoccupazioni, ma che è importante su un territorio abitato da più di 150mila persone. Come vengono raggiunti i lavoratori? Come si fa a informare delle persone che non sanno nemmeno di poter essere informate? «I lavoratori si rivolgono
a noi per i servizi, il primo approccio è spesso non con noi ma con il patronato, con il Caf, e poi, magari, gli operatori stessi, preparando la pratica, prendono in carico il lavoratore e lo informano a proposito di diritti e doveri. Poi, ovviamente, andiamo in azienda, nelle assemblee, e capita spesso che, successivamente, i lavoratori vengano a trovarci anche singolarmente. Infine, andiamo nelle piazze, nei luoghi di aggregazione di uomini e donne che vanno alla ricerca della giornata di lavoro.
Personalmente, faccio anche lo sportello alla tendopoli di San Ferdinando. Il primo obiettivo è quello di informare i lavoratori riguardo i loro diritti e doveri, le leggi e le regole, ciò che gli deve essere riconosciuto per diritto». Tutto questo lavoro sulla Piana serve quindi anche a creare un punto di riferimento non solo per il mondo del lavoro, ma anche in termini di inclusione e accoglienza. «Noi abbiamo presentato la carta dei diritti che di fatto si rivolge non solo a chi ha già delle tutele, ma anche a chi tutele non ne ha, come per esempio le partite iva. In fondo, tutto parte dal lavoro. E parlando di lavoro si parla di sviluppo, di legalità, persino di sanità. L’innovazione e la riorganizzazione del servizio sanitario calabrese e pianigiano sono possibili solo valorizzando il lavoro, superando la precarietà, salvaguardando e aumentando i livelli occupazionali».
Ma tornando al problema principale, lo sfruttamento: questi giovani che si vedono negare i propri diritti elementari, gli 80 euro, le tredicesime, che possibilità hanno?
La domanda è ancora più semplice se si pensa che ciò di cui stiamo parlando è, da tempo, sulla bocca di tutti: c’è davvero bisogno che parta dal lavoratore l’iniziativa contro questa piaga? «La politica è assente, siamo d’accordo, ma noi, personalmente, siamo sempre sul campo. Non solo con le numerose vertenze che abbiamo iniziato e vinto – e le abbiamo vinte solo, però, quando i lavoratori si sono uniti veramente, nei supermercati, nelle industrie, al porto – siamo sempre sul campo anche con una azione di sensibilizzazione globale, a 360 gradi. Questa estate siamo andati nelle spiagge, a distribuire i volantini ai turisti, per sensibilizzarli sul fatto che anche le loro vacanze sono spesso fondate sullo sfruttamento e il lavoro nero, con gli stagionali dei villaggi vacanze e dei lidi.
Il lavoratore non è l’unico che deve essere informato, questa è la nostra missione: dimostrare che la Calabria può cambiare con la partecipazione di tutti».