BIOETICA

“Bioeticando” di Domenico De Angelis, ep. 6 – Infermieri: la presenza, una garanzia

Per chiudere il cerchio sulle riflessioni di bioetica, relative a questa situazione emergenziale che il mondo sta affrontando, non potevo che dedicare una riflessione a coloro che si sono trovati maggiormente esposti ed in prima linea: gli infermieri. Dopo aver trattato in generale del sistema sanitario, della medicina, della professione medica, quanto segue è una riflessione abbastanza semplice per spiegare come, fin dal principio dell’arte medica, prendersi cura del paziente fosse la regola fondamentale. E la conseguenza più diretta fosse dunque “non nuocere”. Più avanti magari farò un focus proprio su questo punto (non nuocere) e sulle sue implicazioni. Per ora cercherò di concentrarmi solo su due aspetti del delicato lavoro (missione) dell’infermiere con una riflessione che vuol essere espressione di gratitudine per l’insostituibile ruolo che ricoprono all’interno di un ospedale. Partirò da lontano per restituire il senso di quanto seguirà. Avete notato quanti ospedali sono intitolati ai Santi che hanno maggiormente inciso nella storia? Quanti a Gesù e quanti a Maria? Sarà un caso o c’è qualcosa che giustifica tutto ciò? In effetti i motivi sono tanti, anzi, direi che il motivo fondamentale è uno solo. La cristianità ha talmente inciso nella mentalità e nella cultura che è stata decisamente la motivazione di fondo che ha dato avvio a quelli che oggi noi conosciamo come “ospedali”. La cristianità ha considerato, da sempre, l’uomo come immagine e somiglianza di Dio. E questo è stato rivoluzionario, in particolare nell’antichità dove la schiavitù era all’ordine del giorno e coloro che non servivano alla società erano considerati inutili e spesso non curati. Per sintetizzare, sulla scia del Cristo medico delle anime e dei corpi (leggere attentamente il Vangelo su questo punto) si cominciò a strutturare, per volere dei vescovi e anche la collaborazione degli istituti religiosi femminili, una mentalità di cura e ospitalità, in particolare dei più bisognosi. E i primi centri di ospitalità dove spesso venivano “curate” le persone divennero quelli che noi conosciamo oggi come ospedali, vere frontiere di umanità. Cosa si faceva? Si offriva ospitalità, innanzitutto, e si alleviava il dolore e la sofferenza delle persone. Questo compito era affidato a uomini e donne di buona volontà che non avevano particolare esperienza medica ma si prestavano a offrire soccorso come potevano. Erano, a tutti gli effetti, gli “infermieri” che man mano acquisivano sempre più competenze tecniche e specifiche e sapevano gestire una moltitudine di situazioni. Quindi si è passati dall’ospitalità all’ospedale. Dall’accudire alla cura. Dal pronto soccorso al soccorso specialistico. Così si cominciarono a strutturare molti centri dove ci si specializzava sempre più. La mentalità di fondo era curare le anime e i corpi. Il servizio era letto come il corrispondere ad una chiamata d’amore. Ricordate? “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me” (Mt, 25). La cura dei malati era quindi affidata esclusivamente agli infermieri che assistevano i bisognosi. Non c’erano troppi medici all’epoca. Pochi, infatti, erano a conoscenza dell’arte medica come noi la conosciamo oggi. I medici non erano, purtroppo, così presenti e numerosi. Seconda considerazione: sull’esempio di Agostino d’Ippona, possiamo dire che ciò che oggi è considerato “marginale” è, in effetti, il centro su cui tutto ruota. Lui fece l’esempio della donna che all’epoca era considerata ai margini della vita sociale e familiare, sostenendo con forza che su quella marginalità ruota la centralità dell’azione sociale. È un lavoro silenzioso, umile, essenziale, senza proclami ma indispensabile. Senza il quale la società non può reggere. Come all’epoca la donna oggi l’infermiere. Tradotto: per la riflessione presente, l’ospedale si regge anche sull’operosità silenziosa degli infermieri che non sono certo marginali. Non vogliono tappeti rossi o acclamazioni, non pretendono riconoscimenti particolari. Non vengono purtroppo considerati alla pari dei dottori ma, la loro presenza e opera è fondamentale. Perché? Sono i primi che incontriamo, gli ultimi a salutare, coloro che stanno accanto e assistono i pazienti, eseguono quanto necessario per la riuscita della cura medica, svolgendo quel fondamentale compito di contatto umano all’interno di una struttura ospedaliera. Insomma, di loro non possiamo e non vogliamo fare a meno. Se ci soffermiamo ad osservare, con attenzione, le attitudini degl’infermieri, dalla cura all’attenzione al paziente, possiamo spingerci ad affermare, senza remore, che il loro ruolo è veramente centrale in un ospedale. In quanto riescono ad esprimere, in modo socialmente visibile, singolare e insostituibile, quella tenerezza e quello spirito di servizio a cui tutti gli studenti di medicina dovrebbero aspirare. Da loro si può imparare che le attenzioni particolari per gli ammalati e la prossimità vanno sempre praticate per “umanizzare” la medicina.

Domenico De Angelis è un appassionato della vita e la presentazione potrebbe finire qui. Perché la bioetica? Vediamo… ha cominciato il percorso di studi in Economia conseguendo prima la Laurea Triennale in Scienze Economiche (presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria), poi la Laurea Magistrale in Economia e Diritto (presso l’Università degli Studi di Messina). Successivamente, per rispondere ad alcuni interrogativi etici ha scelto di intraprendere un percorso più umanistico conseguendo la Licenza in Bioetica (presso l’Università Pontificia Regina Apostolorum di Roma). Attualmente è impegnato a divulgare questo studio attraverso articoli, interventi radiofonici e incontri organizzati in diversi contesti. La sua “mission impossible” è cercare di capire Nadia, la sua amazing fidanzata. Non riuscendoci ha scelto di amarla senza sé e senza ma. Il resto lo scoprirete lungo il cammino se lo incontrerete… per ora buona lettura. Ps. Non cercatelo sui social, non vuole esserci… per ora.