“Bioeticando” di Domenico De Angelis, ep. 5: Umanizzare la medicina?
Troppe analisi? Troppi strumenti? Troppa tecnica? Cip, computer, tablet, robot… e il volto dell’uomo? Ci siamo accorti ultimamente che c’è la necessità di avere un tocco più… umano all’interno del sistema sanitario. Per cui è bene umanizzare la medicina. Che significa “umanizzare la medicina”? lo sentiamo spesso, in particolare in questi giorni. Sembra essere una istanza impellente. Proprio per questo è bene fare i dovuti distinguo. Chiarimenti utili intorno alla professione che più di altre incarna una chiamata alla responsabilità, una vera e propria missione (come più volte ribadito all’interno della rubrica, è una convinzione dello scrivente, e non solo). Ci sono almeno tre significati quando si cerca di rispondere alla domanda iniziale. Vediamoli tutti e cerchiamo di trarne delle conclusioni, anche se non definitive, almeno di avvio alla ricerca della vera sostanza della medicina e dell’arte medica. Il presupposto da tener presente è che la medicina, da parte sua, ha come compito centrale il servizio all’uomo, alla sua salute (sul termine salute dedicheremo un approfondimento). Il medico, in prima istanza, ha a che fare nell’immediato con la corporeità della persona ma deve sempre tener presente che si trova innanzi ad un uomo depositario di una dignità speciale e che non può essere oggettivizzato ma osservato nella sua totalità. Fatta questa doverosa premessa, quando si parla di umanizzare la medicina si intende innanzitutto il privilegiare la dimensione umana di fronte all’invadenza, nel campo medico, della tecnologia. Il rapporto intersoggettivo tra il paziente e il personale sanitario deve essere un incontro tra una persona che chiede aiuto ed un’altra capace di prestare soccorso grazie al proprio sapere medico, non una sintesi di dati, tabelle, analisi e numeri. Insomma, il medico dovrebbe saper guardare in faccia il paziente non fissare lo sguardo solo su un foglio di carta o un computer di ultima generazione. In secondo luogo, la richiesta di umanizzare la medicina esprime anche l’esigenza di introdurre nel piano di studi delle facoltà mediche gli studi umanistici, in particolare psicologia e antropologia. In fondo il significato di questa istanza consiste nel saper riconoscere la dignità umana di ogni persona senza distinzioni di età e di condizione clinica. Ed in particolare saperla riconoscere fin dal principio, dal concepimento. E questo senza scomodare la teologia o il credo di ogni persona ma ricorrendo alla biologia e alla logica. Infatti l’appartenenza biologica al genere umano è il criterio unico per identificare la personalità di un uomo. Per tale ragione, l’inizio e la fine dell’esistenza della persona non possono essere separati dall’inizio e dalla fine della vita umana. Possiamo dedurre che se qualcuno esiste, egli è esistito da quando esiste questo organismo individuale ed esisterà – come uomo – fino a che questo organismo vive. Se poi si volesse aggiungere la convinzione di Tommaso d’Aquino diremmo che “persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura” (persona significa ciò che è il più perfetto nell’intera natura, cioè sussistente in una natura razionale) e, per completezza, come non citare Boezio che di persona diede la seguente definizione “persona est naturae rationali individua substantia” (persona è una sostanza individuale di natura razionale). Non poteva mancare certo il contributo della bioetica. Chiamata in causa in particolare quando si parla di umanizzare la medicina. È la bioetica attraverso il proprio metodo di studio sistematico a comprendere ed elaborare un itinerario di scoperta dell’uomo. E lo fa evidenziando i doverosi legami e considerazioni di natura medica, filosofica e teologica. Proprio perché, come avremo modo di notare, l’uomo non si esaurisce nella corporeità. Ma è molto di più. La dimensione corporea, la dimensione psicologica, la dimensione spirituale, la dimensione sociale sono componenti e considerazioni imprescindibili per chiunque voglia parlare ad una persona. Entrando in contatto con l’essere della persona e non solo con il disagio che vive in quel particolare momento e che, per essere curata, abbisogna di uno sguardo più ampio e più “profondo”, nel rispetto della dignità della persona che, in contatto con il personale medico, diventa “paziente” ma… fino ad un certo punto. Perché una persona non vuole e non può essere considerata un numero.