BIOETICA

“Bioeticando” di Domenico De Angelis, ep. 3: Non chiamatela guerra!

Constatata la situazione odierna, col permesso di Saso, apro una parentesi nella nostra rubrica per cercare di contribuire al dibattito odierno. Si sta cercando una soluzione accettabile alla pandemia, a livello globale ma… Non chiamatela guerra, non lo è. Facendolo si rischia di inquinare il linguaggio e la mentalità. E, inoltre, rischia di essere fuorviante. Quella che stiamo vivendo è una emergenza socio-sanitaria (ed economica) ma non è “una guerra”. Almeno nel senso corretto del termine. Dobbiamo restituire alle parole la loro dignità. Non possiamo usarle a sproposito. Ammettendo che è ammissibile, in particolare oggi, essere impauriti, si nota come temiamo per la nostra vita, per il futuro, per i nostri cari ecc. però questo non ci autorizza a cambiare terminologia. In fondo vorremmo solo essere rassicurati. Non c’è bisogno di ricorrere alla dialettica bellica, che autorizza l’uso di un linguaggio particolare e che ci restituisce il senso di eccezionalità che stiamo vivendo oggi in piena pandemia. Non è corretto fare così. Procediamo per gradi e scopriamo perché. Proviamo a rispondere alla seguente domanda: davvero siamo in guerra? Tecnicamente no. E grazie al cielo possiamo negare questa possibilità, ad oggi. Allora di cosa si tratta? come già anticipato, si tratta di una emergenza, di una sfida, di una prova, di una situazione comunque già affrontata nel corso della storia e dalla quale potremmo imparare molto. Anche perché un’umanità che non impara dall’esperienza non è propriamente “umana”. È un insieme di umanoidi che agiscono meccanicamente e “per convenienza” non per giustizia e verità. Per cui, la retorica bellica usata da tanti serve solo a giustificare e introdurre elementi nella nostra vita che rimandano alla memoria interventi decisi in tempi di guerra come la restrizione delle libertà personali, l’abituarci a contare le vittime, a guardare immagini di carri militari passare nelle nostre città ecc. È la metafora bellica a far sì che gli ospedali siano definiti “trincee”, i medici “soldati” e purtroppo anche “caduti” nella “battaglia” in soccorso, mentre i civili sono “attaccati” dal virus che diventa il “nemico da combattere”. I culti religiosi vengono sospesi, limitati, proibite le adunanze pubbliche, il Governo legifera in modo straordinario assegnando al parlamento una mera funzione di rettifica. Insomma, come si sente dire da più parti: “in tempi di guerra tutto è ammesso”. E no! Questo proprio no! Ed è il motivo per cui bisogna disinfettare non solo le mani ma anche il linguaggio, e chiamare le cose col proprio nome. Per cui, smontare la retorica della “guerra” serve a restituire agli uomini quel senso di responsabilità e di consapevolezza che altrimenti rischia di naufragare nel mare dell’illusione che ci siamo costruiti. Innanzitutto – non essendo in guerra – ai medici va restituito l’alto ruolo che gli appartiene. Non sono degli eroi. Sono dei “medici” (un gradino più alto). Sono uomini che incarnano una missione. Sono persone che fanno sacrifici perché rispondono ad una chiamata di responsabilità (propria di una missione) che gli permette di fare opere e orari straordinari. Sono coloro che garantiscono le cure necessarie laddove servono. Sono loro, in prima linea, a guardare in faccia i pazienti e rassicurarli, curarli e accompagnarli nella loro sofferenza. Per tutelare il “diritto” alla salute. Perciò – non essendo in guerra – per loro (i medici) dobbiamo pretendere che vengano assistiti nel migliore dei modi da parte dello Stato e con le necessarie accortezze e attrezzature di cui abbisognano per svolgere il loro lavoro nella massima professionalità e protezione. Non sono in “trincea” e non vanno mandati allo sbaraglio. Va gestito il personale in modo “umano”. È anche la loro salute che dev’essere tutelata, perché il virus non fa distinzioni. Non essendo in guerra – giova ricordarlo – possiamo evitare di occultare le situazioni di responsabilità che emergeranno (già alcune sono emerse) nel gestire la crisi. Ci troviamo in questa situazione anche perché, già da qualche anno, invece di investire nella sanità si sono sottratte delle preziose risorse proprio alla sanità pubblica. La miopia governativa, in questo caos, è emersa in modo drammatico. E oggi i cittadini pagano le conseguenze di scelte errate non l’effetto di un “attacco improvviso di virus”. Questo breve scritto non ha altra pretesa che restituire, in parte, la chiarezza terminologica, ed essere anche un doveroso inchino nei confronti della classe medica e degli operatori sanitari in generale, perché grazie ai loro sforzi quotidiani (non solo in tempi di pandemia), alla loro dedizione e alla loro missione ci permettono ancora di sperare. A noi la responsabilità di supportarli per quanto necessitano. E la garanzia che, finita l’emergenza, si possa nuovamente programmare con lungimiranza un nuovo modello sanitario più attento alle esigenze di tutti e più umano. Perché i medici non sono “eroi di guerra”. Sono “missionari” tutti i giorni dell’anno. Non si possono offendere etichettandoli come eroi solo oggi, in tempi di pandemia, quando l’esigenza del loro operato è più in evidenza (mentre quando pagano di tasca propria la sicurezza nei pronto soccorso perché minacciati, non sono eroi?). Va restituita l’alta dignità di “medici” che hanno a cuore la vita delle persone e che cercano sempre, tutti i giorni, quotidianamente, di curare, prestare soccorso, accompagnare, stare vicino. Insomma, sono loro che umanizzano l’antica arte medica. Sono loro i depositari di un sapere che, oggi più che mai, necessita di essere ri-umanizzato. Non ci rassicureranno i dati impressi in un monitor ma uno sguardo umano capace di trasmettere fiducia e umanità.

Domenico De Angelis è un appassionato della vita e la presentazione potrebbe finire qui. Perché la bioetica? Vediamo… ha cominciato il percorso di studi in Economia conseguendo prima la Laurea Triennale in Scienze Economiche (presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria), poi la Laurea Magistrale in Economia e Diritto (presso l’Università degli Studi di Messina). Successivamente, per rispondere ad alcuni interrogativi etici ha scelto di intraprendere un percorso più umanistico conseguendo la Licenza in Bioetica (presso l’Università Pontificia Regina Apostolorum di Roma). Attualmente è impegnato a divulgare questo studio attraverso articoli, interventi radiofonici e incontri organizzati in diversi contesti. La sua “mission impossible” è cercare di capire Nadia, la sua amazing fidanzata. Non riuscendoci ha scelto di amarla senza sé e senza ma. Il resto lo scoprirete lungo il cammino se lo incontrerete… per ora buona lettura. Ps. Non cercatelo sui social, non vuole esserci… per ora.