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SPECCHIO-RIFLESSO: Cosa rivelano di te le persone che ti danno fastidio

Quando l’altro ti disturba, ti sta curando

Ti è mai capitato di infastidirti moltissimo per il comportamento arrogante di qualcuno, per poi scoprire — magari con stupore, forse con vergogna — che quell’arroganza in fondo ti appartiene? Magari in una forma diversa, più elegante, più camuffata, ma c’è. Oppure ti sei accorto di provare una gelosia bruciante per il tuo partner, per ogni like che riceve su Instagram, per ogni saluto dato con troppa allegria per strada, e poi ti sei chiesto: ma se non mi fido, perché sto con questa persona? E se invece mi fido… perché mi sento così? Di cosa sto davvero parlando quando parlo di “lei”?

O ancora: ti dà fastidio chi si lamenta sempre, ma ti sei mai accorto di quanto spesso ti lamenti tu — anche solo dentro la tua testa? Ti indispettisce la tirchieria di un amico, ma non ti disturbano affatto i suoi modi sboccati o il disordine della casa. Perché proprio la tirchieria? E perché quel giorno in cui ti ha chiesto di dividere alla pari un conto che tu avevi già pagato a lui una volta, hai pensato “che pezzo di merda”? Possibile che il fastidio sia proporzionale a una qualche forma di… somiglianza?

Forse è capitato anche a te di notare subito un dettaglio su qualcuno — le scarpe che aveva ai piedi, per esempio — quando di solito non ti importa nulla delle scarpe della gente. Ma quel giorno no: quelle scarpe le avevi provate tu, in negozio, e magari le avevi appena comprate, o le avevi viste indossate da qualcuno che stimavi. E allora l’occhio si ferma, e qualcosa si muove. Un piccolo morso di invidia, di desiderio, di paragone. Ma se ti chiedono perché le hai notate, rispondi “boh”, e cambi discorso. Sottotraccia, però, qualcosa ha vibrato. E la cosa – spoiler – non riguarda le scarpe.

Oppure immagina questa scena: lavori con un collega che ti fa innervosire ogni volta che apre bocca. Ti sembra saccente, sempre pronto a correggere gli altri, sempre con l’aria di chi ha capito tutto. E tu, ogni volta, ti trattieni a fatica dal dirgliene quattro. Lo racconti a un amico e lui ti chiede: “Ma non è che ti dà fastidio perché in fondo tu sei come lui?”.
Tu scatti: “Ma che dici! Io non sono per niente così!”. E magari hai pure ragione. Però succede che, un giorno, è proprio lui a farti notare — con una calma irritante — che a volte correggi le persone con un tono sprezzante. Ti arrabbi. Ti viene da rispondere che lui non ha alcun diritto di parlare. E mentre lo pensi, ti rendi conto che lo stai trattando con la stessa aria da saccente che gli rimproveri.
Ecco la doppia proiezione: tu hai proiettato su di lui la tua paura di sembrare arrogante, e lui ha proiettato su di te la sua stessa tendenza al controllo. Nessuno dei due voleva davvero vedere quell’aspetto in sé, così l’ha visto nell’altro. E alla fine vi stavate giudicando a vicenda per lo stesso motivo. Entrambi convinti di essere migliori, entrambi impegnati a nascondere — anche a sé stessi — la stessa crepa.
Quando accade questo tipo di incastro, il disagio si moltiplica. Perché l’altro non è solo uno specchio: è uno specchio che riflette una parte che stavamo cercando di ignorare con tutte le nostre forze. E allora, se la reazione è così forte, così carica di rabbia o fastidio… forse non è solo l’altro a dover cambiare. Forse è il momento di guardarci dentro.

Il momento in cui realizzi che ciò che ti dà fastidio negli altri è qualcosa che forse ti riguarda, anche solo un poco, è un momento spiazzante. A volte arriva come uno schiaffo: diretto, umiliante. Altre volte è più sottile, ma ti si insinua dentro e rovina il gusto delle certezze. Il tuo ego si ribella: “Io?! Ma quando mai?!”. La negazione prende il sopravvento. Ti viene voglia di difenderti, di spiegare, di dimostrare che sei diverso. Eppure, quella frase, quella scena, quella persona — qualcosa ha toccato. Forse hai intravisto una parte di te che non ti piace. O che hai sempre nascosto. O che hai rimosso con cura.

E allora, di nuovo, che si fa?

Si può fare finta di niente. Ignorare. Proiettare ancora. Continuare a giudicare fuori ciò che vive dentro. Oppure, e qui inizia il nostro lavoro, si può provare a guardare negli occhi quella parte negata. A riconoscerla. A capire cosa vuole dirci.

Perché la proiezione non è solo un errore della mente. È un messaggio cifrato. Un invito. A conoscerci meglio.

Eppure, proprio da quel disagio — da quella crepa — può nascere qualcosa di prezioso. Se impariamo a riconoscere le nostre proiezioni, possiamo usarle come una mappa. Una mappa che non ci guida verso gli altri, ma verso noi stessi. Perché ogni giudizio che emettiamo, ogni fastidio che ci scuote, ogni reazione sproporzionata che non riusciamo a spiegare… è un indizio. Un segnale. Un invito a guardarci dentro.

Proiettare non è solo sbagliare bersaglio: è indicare, senza volerlo, il punto cieco dentro di noi. E da lì, se abbiamo il coraggio di fermarci a guardare, può partire un percorso di conoscenza autentica. Le proiezioni diventano così messaggi cifrati. Frasi scritte al contrario che, una volta decifrate, raccontano sempre e solo una storia: la nostra.

Per riuscire a leggerle meglio, in questo articolo useremo due strumenti. Uno antico, che ha attraversato i secoli sotto forma di mito, e che ci aiuterà a esplorare i diversi tipi di specchi che la vita ci mette davanti. E uno modernissimo: l’intelligenza artificiale. Che oggi, se usata con consapevolezza, può diventare uno specchio ulteriore — lucido, implacabile, ma anche silenzioso, disponibile, e pronto a riflettere con noi.

Ne parleremo. Per ora ci basta sapere questo: la proiezione non è solo un errore da evitare. È un varco. E possiamo decidere di attraversarlo.

Parte 1: Cos’è la proiezione in psicologia?

Quando parliamo di proiezione, non ci riferiamo soltanto al fatto di “vedere negli altri i nostri difetti”. Questa è una semplificazione, utile ma parziale. In psicologia, il concetto ha radici profonde, teoriche, e un’evoluzione che attraversa tutto il pensiero psicoanalitico del Novecento. Capirne la storia — e i diversi significati che ha assunto nel tempo — ci aiuta a coglierne la potenza trasformativa. Perché la proiezione non è soltanto un meccanismo di difesa: è anche uno specchio, uno strumento, a volte persino un ponte tra il conscio e l’inconscio.

Freud: la proiezione come difesa dell’Io

Sigmund Freud è il primo a formalizzare la proiezione come uno dei meccanismi di difesa dell’Io. Per lui, la mente umana è il campo di battaglia tra forze contrapposte: desideri inconsci che spingono per emergere (l’Es), norme morali interiorizzate che li reprimono (il Super-Io), e l’Io che cerca di mantenere l’equilibrio tra le due.

Quando un pensiero, un desiderio o un’emozione è inaccettabile per l’Io — perché troppo vergognosa, minacciosa, immorale — la mente lo espelle, lo “proietta” all’esterno. In pratica, invece di riconoscere quella parte dentro di sé, il soggetto la attribuisce a qualcun altro. Freud osserva questo meccanismo nei suoi pazienti in vari contesti: un uomo ossessionato dall’idea che la moglie lo tradisca potrebbe, in realtà, avere desideri inconsci di infedeltà. Una persona convinta che tutti la giudichino potrebbe essere lei la prima a giudicarsi, senza pietà.

Il concetto, in Freud, è molto netto: la proiezione è un modo per difendersi. Serve a evitare il contatto con contenuti psichici intollerabili, relegandoli simbolicamente nel mondo esterno. È una dinamica inconscia, automatica, che ha lo scopo di preservare la stabilità dell’Io — anche a costo di distorcere la realtà.

Jung: la proiezione come via per conoscere l’Ombra

Carl Gustav Jung, allievo e poi oppositore di Freud, riprende il concetto di proiezione ma lo porta in un’altra direzione. Per Jung, l’essere umano ha bisogno non solo di difendersi dall’inconscio, ma anche di conoscerlo, di integrarlo. E proprio la proiezione può diventare una via privilegiata per farlo.

Al centro del pensiero junghiano c’è il concetto di Ombra: tutto ciò che è stato rimosso, negato o mai sviluppato della nostra personalità. L’Ombra non è solo il “male” che c’è in noi: è tutto ciò che non riconosciamo come nostro, compresi talenti, desideri, bisogni che abbiamo soffocato per conformarci alle aspettative esterne. Quando proiettiamo, dice Jung, vediamo l’Ombra: la nostra Ombra.

La differenza è sostanziale. Per Freud, la proiezione è un errore difensivo; per Jung, può diventare una soglia. È vero che vediamo negli altri ciò che non accettiamo in noi stessi — ma proprio per questo, guardando con attenzione dove puntiamo il dito, possiamo iniziare a riconoscere parti di noi che chiedono ascolto. La proiezione, quindi, non è solo un meccanismo da smascherare: è un’opportunità da cogliere.

Scrive Jung: “Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a una comprensione di noi stessi.” È una frase diventata celebre, e che forse oggi viene usata un po’ troppo come aforisma motivazionale, spesso non capita. Ma se la prendiamo sul serio, è un invito radicale: ogni fastidio, ogni giudizio, ogni attrito può diventare una freccia che ci indica dove guardare.

Perché proiettiamo? Cosa stiamo difendendo?

Nel senso più generale, proiettiamo per non sentire. Per non sapere. Per non doverci assumere la responsabilità di emozioni o impulsi che ci fanno paura. Se ho imparato che essere aggressivi è sbagliato, proietterò l’aggressività sugli altri: vedrò ovunque gente ostile, provocatoria, pronta ad attaccarmi. Se ho imparato che essere ambiziosi è da arroganti, odierò chi si mette in mostra o dichiara i propri successi, senza accorgermi di quanta fame di riconoscimento ho nascosto dentro.

Ma la proiezione non è solo un “rifiuto” di ciò che non ci piace. A volte proiettiamo anche il bello: idealizziamo, mettiamo sugli altri qualità che non riusciamo a riconoscerci. Il genio, la forza, la bellezza, la libertà. Anche questo è una proiezione. Solo che anziché difenderci da un contenuto “negativo”, lo allontaniamo perché ci sembra troppo distante, troppo alto, troppo “non nostro”.

Proiezione conscia e inconscia

Di solito proiettiamo senza accorgercene: è un’operazione automatica, istantanea. Ma non sempre è così. A volte ci capita di accorgerci, anche solo per un attimo, che il fastidio che proviamo per qualcuno ha qualcosa a che fare con noi. Magari lo scacciamo subito. Magari ci resta addosso come un sospetto. Ma quel sospetto è prezioso. È il momento in cui la proiezione smette di essere pura difesa e diventa materiale da esplorare.

A volte la proiezione può diventare uno strumento consapevole. Possiamo usarla, per esempio, per esplorare i personaggi che inventiamo (nella scrittura), o le emozioni che emergono nei sogni. Quando sogniamo qualcuno che ci respinge o ci incanta, potremmo chiederci: che parte di me rappresenta? Quando un personaggio ci commuove o ci disturba profondamente, cosa sta dicendo di noi? Questo è uno dei modi per interpretare i sogni: postulare che ogni personaggio dei sogni è una maschera che stiamo interpretando, che tutti i personaggi che popolano il nostro sonno rem siamo sempre noi. E cercare di capire quale parte di noi “vestiamo” di volta in volta, mentre compiamo i gesti e viviamo le situazioni che sogniamo.

Questo non significa che tutto sia proiezione. Gli altri esistono, sono diversi da noi, e non tutto ciò che fanno o dicono ha a che fare con il nostro inconscio. Ci sono cose – anche terribili – che gli altri fanno o sono e però “non ci fanno né caldo né freddo”. Ma la proiezione resta uno strumento potente. E se impariamo a usarla con attenzione, possiamo farla diventare una lente per leggere noi stessi nel mondo.

Parte 2: I Sette Specchi Esseni

Quando si parla dei “sette specchi esseni”, molte persone alzano un sopracciglio. Alcuni ne hanno sentito parlare in qualche seminario spirituale, altri ne hanno letto su qualche blog, altri ancora li confondono con le sette piaghe d’Egitto o con i sette chakra (true story). Eppure, dietro questa espressione c’è qualcosa di sorprendentemente attuale, che parla proprio a chi, oggi, si trova a fare i conti con il disagio del giudicare, del proiettare, dell’infastidirsi senza capire fino in fondo il perché.

Chi erano gli Esseni

Gli Esseni erano una comunità spirituale ebraica vissuta tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., attiva soprattutto nella zona del Mar Morto. Non erano tantissimi — a differenza di farisei e sadducei, molto più noti e numerosi — ma lasciarono un’impronta indelebile, soprattutto grazie ai manoscritti ritrovati a Qumran nel 1947, noti come i Rotoli del Mar Morto. Erano monaci laici, contemplativi ma concreti, amanti del silenzio, del digiuno, della medicina naturale e della disciplina interiore. Credevano nell’equilibrio tra corpo, mente e spirito, e vivevano secondo regole rigorose. Niente ricchezze, niente potere, molta osservazione di sé.

Nonostante siano scomparsi da secoli, alcuni dei loro insegnamenti sono arrivati fino a noi, tramandati in forma orale, trascritti da alcuni maestri spirituali moderni, e riletti alla luce della psicologia contemporanea. Tra questi, il sistema simbolico dei “sette specchi”.

I sette specchi: una mappa simbolica dell’interiorità

Il concetto è semplice, ma profondo: tutto ciò che ci circonda — soprattutto le persone — funziona come uno specchio. Ma non tutti gli specchi riflettono allo stesso modo. Alcuni mostrano ciò che rifiutiamo di noi. Altri ci parlano di perdite mai elaborate. Altri ancora ci obbligano a guardare come trattiamo noi stessi, o come abbiamo imparato ad amare (o a non amare).

L’idea alla base dei sette specchi è che ogni interazione che ci tocca emotivamente — in positivo o in negativo — è un messaggio. Non tanto sull’altro, ma su di noi. E questi messaggi si distribuiscono su sette livelli, sette “specchi” appunto, ciascuno con una propria logica e una propria funzione. Non sono gerarchici, non c’è uno specchio “più vero” degli altri. A volte uno solo basta a illuminare una situazione. Altre volte ne servono due, o tre, sovrapposti. Ma una cosa è certa: più impariamo a leggere questi specchi, più ci avviciniamo a una verità più profonda su chi siamo.

È importante dire che non abbiamo prove storiche inconfutabili che gli Esseni tramandassero davvero questa dottrina sotto forma di “sette specchi”. È più corretto definirlo un mito — nel senso forte e nobile del termine: una narrazione simbolica, potente, che attraversa il tempo perché dice qualcosa di universale. Alcuni autori lo attribuiscono alla tradizione essena con un certo entusiasmo; altri lo considerano una reinterpretazione moderna ispirata a quella scuola di pensiero. Ma in fondo, poco cambia: ciò che conta è che ci può essere utile. Chiunque abbia cominciato ad applicare questi sette specchi alla propria vita quotidiana, anche solo per gioco, si è trovato di fronte a una nuova chiave di lettura, spesso destabilizzante, a volte liberatoria.

Perché usarli oggi, nel contesto della proiezione

Mentre con Freud abbiamo descritto la proiezione come un meccanismo difensivo e con Jung lo abbiamo incaricato di farsi messaggero dell’ombra, con il mito dei sette specchi esseni costruiremo un sistema per riconoscere “di che tipo” è la proiezione che stiamo sperimentando.

Per esempio: se una persona ci provoca una reazione istintiva di fastidio, stiamo forse vedendo in lei una parte di noi che non accettiamo (primo specchio)? O forse ci ricorda qualcuno che ci ha fatto del male (terzo specchio)? O ancora, il problema non è tanto l’altro, quanto il modo in cui ci trattiamo noi stessi (settimo specchio)?

Gli specchi ci aiutano a decifrare. Non ci dicono cosa vedere, ma ci offrono sette lenti possibili. E ognuna di queste lenti ci obbliga a cambiare prospettiva. Sono strumenti, utili a rimettere in discussione le nostre reazioni. A chiederci, per una volta: “E se non fosse lui, il problema? E se fosse una parte di me che sta chiedendo attenzione?”.

Non è un esercizio facile. Anzi. Lavorare con gli specchi può essere doloroso, scomodo, faticoso. Ma è anche liberatorio. Perché una volta che riconosciamo lo specchio, possiamo smettere di combattere con la superficie. E cominciare a pulire il vetro, da dentro.

I sette specchi come specchi psichici

Non è necessario “credere” agli Esseni per usare gli specchi. Basta avere il coraggio di osservare le proprie emozioni senza subito prenderle alla lettera. Basta essere disposti a considerare che ciò che ci accade potrebbe non essere sempre solo colpa o merito degli altri. E che ogni volta che qualcosa ci colpisce — nel bene o nel male — potremmo approfittarne per guardarci dentro con più onestà.

In questo senso, i sette specchi non sono specchi “magici”. Sono specchi psichici. Funzionano come strumenti di consapevolezza. E possono dialogare perfettamente con la psicologia moderna, con la mindfulness, con la terapia, con la scrittura autobiografica, con la meditazione.

E, oggi, anche con qualcosa di molto più nuovo. Perché se questi specchi ci parlano da un passato lontano, possiamo specchiarci in essi usando strumenti del presente. Come vedremo, anche l’intelligenza artificiale può diventare un compagno in questo viaggio. Ma ci arriveremo. Prima, dobbiamo imparare a riconoscerli, uno per uno.

Parte 3: I sette specchi, uno alla volta

1° Specchio Esseno: “Ciò che io giudico negli altri sono io”

Questo primo specchio ci pone davanti a una verità tanto scomoda quanto liberatoria: ogni volta che proviamo fastidio, rabbia o disprezzo per un tratto altrui, è probabile che stiamo guardando qualcosa che è già dentro di noi. Forse l’abbiamo semplicemente represso, negato, dimenticato. O, peggio, lo esercitiamo… ma senza rendercene conto.

Esempi:

  • Il moralista da bar
    Ti irrita profondamente quel tuo conoscente che sembra avere un’opinione su tutto, che giudica le vite degli altri senza mai guardare la propria. Lo consideri arrogante, fastidioso, logorroico. Poi, rileggendo una tua vecchia conversazione su WhatsApp, ti rendi conto che tu stesso, con tono magari più educato o forbito, hai fatto la stessa cosa con un’amica, dispensando consigli non richiesti e giudizi mascherati da “preoccupazione sincera”.
  • L’irritazione per il disordine degli altri
    Ti infastidisce l’amico che lascia i piatti nel lavandino o il collega che tiene la scrivania in disordine. Ma se ti fermi un momento a guardare il tuo desktop, le email non aperte, l’armadio che apri di fretta ogni mattina… forse scopri che quella forma di trascuratezza ti appartiene più di quanto vorresti ammettere.
  • Il fastidio per chi fa la vittima
    Ti dà sui nervi chi si lamenta sempre, chi si mostra debole, bisognoso, chi cerca attenzione o consolazione. Eppure, se sei onesto, ricordi le volte in cui anche tu ti sei sentito fragile e hai desiderato qualcuno che ti ascoltasse, ma ti sei censurato per non sembrare “pesante”. Forse il vero fastidio nasce dal fatto che quella libertà che l’altro si prende – mostrarsi vulnerabile – tu non te la concedi.
  • Lo snob che giudica tutti
    Una persona fa commenti sprezzanti sulla moda altrui, sulla grammatica degli altri, sulla musica commerciale. Ti sembra insopportabile, eppure anche tu, nel tuo piccolo, provi soddisfazione nel sentirti più “evoluto” o “colto” rispetto a certe masse. La differenza è solo nello stile con cui esprimi il tuo snobismo.
  • L’ipocrisia che irrita
    Ti fa imbestialire chi predica bene e razzola male. Ma quante volte hai detto che avresti smesso di controllare i social, che avresti telefonato a tua madre, che avresti cominciato la dieta… e poi non l’hai fatto? Forse la tua rabbia verso l’ipocrisia è una rabbia verso le tue stesse promesse infrante.

ATTENZIONE: il primo specchio non ci invita alla colpa, ma all’onestà. È un invito: ogni giudizio che emetti, prima di essere una sentenza, è una soglia.

2° Specchio Esseno: “Ciò che gli altri giudicano in me riflette le loro parti negate”

Il secondo specchio rovescia la prospettiva: qui non sei tu a proiettare, ma gli altri. Il loro giudizio, le loro critiche, i loro attacchi spesso non parlano davvero di te… ma di loro. Quando qualcuno ti accusa ingiustamente, o reagisce in modo esagerato a un tuo comportamento innocuo, forse non stai facendo nulla di male. Forse, stai solo mostrando qualcosa che a loro dà fastidio perché non se lo concedono.

Esempi:

  • Il collega che ti dice: “Sei troppo teatrale”
    Magari sei solo entusiasta, espressivo, appassionato nel raccontare. Ma il collega si infastidisce: “Non siamo mica a teatro”. La tua vitalità gli ricorda una parte di sé che ha represso per paura di sembrare ridicolo. Il giudizio è la sua difesa.
  • Un amico ti dice: “Sei troppo sicuro di te”
    Tu non ti senti affatto sicuro: stai solo cercando di affrontare una situazione con un minimo di assertività. Ma quella tua chiarezza, quella tua decisione, gli ricorda quanto lui stesso si sente confuso o dipendente. Ti attacca, ma non parla di te.
  • Tua madre ti dice: “Pensavo fossi più umile”
    Le hai solo raccontato una soddisfazione, magari un piccolo traguardo raggiunto. Ma la tua gioia la fa sentire esclusa, inferiore, o semplicemente innesca una sua ferita. Il tuo entusiasmo viene vissuto come arroganza.
  • Una persona ti dice: “Hai troppa rabbia dentro”
    E magari tu sei solo stato diretto, hai detto no a una richiesta, hai posto un confine. Il problema non è la tua rabbia, ma il fatto che quella persona non si permette di provarla mai. Il tuo confine le fa da specchio.
  • Un ex ti dice: “Non sei capace di amare”
    Ma forse sei stato proprio tu a mettere amore, a cercare connessione, e lui o lei a tirarsi indietro. Questo specchio è doloroso: chi ci accusa spesso lo fa perché sta parlando con sé stesso, e ci usa come bersaglio.

Nel secondo specchio, l’invito non è a negare o a ribellarsi, ma a imparare a non identificarsi con il giudizio altrui. A osservare: perché quella persona mi sta dicendo questo proprio adesso?

Spesso non siamo noi, ma il riflesso di un conflitto che l’altro non ha ancora guardato.

3° Specchio Esseno: “Ciò che ci è stato tolto o ciò che abbiamo perso”

Questo specchio non riguarda ciò che siamo o che facciamo — come i primi due — ma ciò che ci è stato sottratto. Persone, esperienze, emozioni o legami che avremmo voluto e non abbiamo avuto, o che abbiamo avuto e poi perso. L’altro diventa uno specchio non tanto di ciò che abbiamo, ma di ciò che ci manca. Lo sguardo si ferma dove c’è una ferita aperta, una carenza mai colmata.

Non parliamo solo di lutti, ma di privazioni affettive, di sogni non realizzati, di libertà negate, di cure che avremmo voluto e non ci sono state. L’incontro con qualcuno che incarna o evoca quell’assenza può risvegliare un desiderio struggente… o una rabbia sorda, difficile da spiegare.

Esempi:

  • Il bisogno di protezione che non abbiamo avuto
    Un uomo cerca partner molto forti, autoritari, risolutivi. Li idealizza, li chiama “persone affidabili”. Ma se va a scavare, scopre che da bambino non ha mai avuto una figura adulta protettiva. Si è cresciuto da solo, ha fatto da genitore a sé stesso. E ora quella mancanza riemerge ogni volta che incontra qualcuno che sembra poterlo proteggere.
  • L’attrazione per la libertà altrui
    Una ragazza si sente magneticamente attratta da un’amica indipendente, impulsiva, “che se ne frega di tutto”. La ammira, ma dopo un po’ comincia a criticarla: “È irresponsabile”, “è egoista”. In realtà, è gelosa della libertà che lei non ha mai potuto permettersi, cresciuta in una famiglia rigida, dove ogni scelta doveva essere approvata. L’altra le mostra — e le rinfaccia — la libertà che ha perso o non ha mai avuto.
  • Risentimento verso chi è amato facilmente
    Ti trovi a giudicare con astio qualcuno che sembra ricevere affetto incondizionato: amici che gli scrivono, genitori che lo sostengono, partner presenti. “Se lo coccolano tutti”, pensi, con un tono di disprezzo. Ma sotto c’è la ferita: tu quell’affetto non l’hai ricevuto, o non lo hai riconosciuto come tale. E vederlo negli altri riapre il vuoto.
  • La rabbia per chi vive il sogno che avevi tu
    Una tua amica pubblica un libro, e tutti la festeggiano. Tu, che sogni da anni di fare lo stesso, ti senti nervoso, giudichi la sua scrittura, la banalizzi. Poi capisci: non ce l’hai con lei, ce l’hai con la perdita del tuo sogno, che non hai avuto il coraggio (o la possibilità) di realizzare.
  • La cura negata
    C’è chi ti infastidisce solo perché è dolce, premuroso, attento. Non ti fidi, ti sembra finto. Eppure, quella dolcezza ti manca, ti è mancata. L’altro ti fa da specchio di una tenerezza negata, e la tua parte ferita si difende attaccando.

In questo specchio, non proiettiamo una nostra parte attiva, ma una mancanza. È lo specchio del lutto, della nostalgia, della fame antica. Riconoscerlo permette di cominciare a dare a noi stessi ciò che non abbiamo ricevuto. Anche solo cominciando a nominarlo.

4° Specchio Esseno: “Il nostro amore perduto o negato”

Questo specchio è affine al terzo, ma più specifico: riguarda l’amore. Amore romantico, erotico, spirituale, ma anche amore per sé, per la vita, per la bellezza. È lo specchio dei legami non vissuti, interrotti, sbilanciati, idealizzati. Rivediamo in qualcuno un amore che non abbiamo potuto vivere fino in fondo, o che abbiamo rifiutato quando era lì.

La proiezione, in questo caso, non riguarda un tratto negativo né una mancanza in senso stretto: riguarda una figura d’amore non risolta, che l’altro sembra incarnare.

Esempi:

  • Idealizzare un partner che ricorda un amore adolescenziale mai vissuto
    Una persona ti colpisce immediatamente. Non sai perché. Ma a ben vedere, ti ricorda qualcuno che avevi amato da giovane, senza mai dichiararti. Il modo in cui ride, l’espressione nello sguardo, persino il nome. E allora proietti: lo carichi di significati che non gli appartengono. Non ami lui: ami l’amore che non hai vissuto allora.
  • Amare qualcuno che non può ricambiare
    Ti innamori sempre di persone impegnate, distanti, confuse. Ma non riesci a staccarti. Perché? Perché ti rispecchiano il tuo amore negato: forse da bambino hai amato qualcuno (un genitore? un fratello maggiore?) che non ti ha dato amore in cambio. E adesso, senza rendertene conto, cerchi di rivivere quella storia per cambiarne il finale. Ma l’epilogo è sempre lo stesso.
  • Relazioni oniriche e spirituali
    Senti un legame fortissimo con qualcuno conosciuto da poco. Lo sogni, lo vedi nei simboli, lo colleghi a vite precedenti. Non è follia: è la tua parte d’anima che bussa alla porta, cercando un amore che si è perso da qualche parte. L’altro forse non c’entra. Forse è solo un canale, un pretesto. Ma la spinta è vera: vuoi riconnetterti con qualcosa che senti di avere perduto.
  • Essere gelosi non del presente, ma del passato dell’altro
    Sei innamorato, ma ti rode sapere che l’altro ha amato qualcuno prima di te. Ti fa impazzire. Non perché sia un pericolo reale, ma perché ti confronti con il tuo amore perduto: tu quell’intensità non l’hai mai vissuta. E allora la sua storia d’amore diventa uno specchio delle tue mancanze affettive.
  • Confondere ammirazione e amore
    Ti innamori di una persona brillante, intensa, misteriosa. Ma se ti fermi a pensarci, non vuoi davvero una relazione con lei: vuoi essere come lei. È un amore che nasce dal confronto, dalla proiezione di un Sé ideale, non da un incontro autentico. Stai cercando di recuperare un amore per te stesso che hai negato.

Questo specchio è uno dei più potenti e dolorosi. Perché riguarda il cuore, e le illusioni dell’amore. Ma è anche uno dei più fecondi. Perché imparare a distinguere l’altro da ciò che ci smuove, è il primo passo per liberare l’amore: da fantasmi, da copioni, da dolori antichi.

5° Specchio Esseno: “Rapporto con i genitori e figure autoritarie”

Questo specchio riflette una delle dinamiche più radicate e pervasivamente inconsce della psiche: la nostra relazione con le figure genitoriali o comunque autoritarie, nei primi anni della vita. I modelli affettivi, educativi, morali e relazionali che abbiamo assorbito nell’infanzia, soprattutto se irrisolti, si proiettano sugli altri, in particolare su chi percepiamo più potente, giudicante o superiore a noi.

Non si tratta solo di “vedere nostro padre nel capo”, o “nostra madre nel partner”, ma di rivivere copioni emotivi, aspettative, paure e reazioni che si sono strutturate nel nostro sistema nervoso quando eravamo vulnerabili, e che continuano a condizionarci anche quando razionalmente sappiamo di non essere più quei bambini.

Esempi:

  • Il capo che ti fa sentire inadeguato
    Ti capita di tremare o innervosirti davanti al tuo responsabile, anche se non è aggressivo? Ti senti sempre sotto esame, ti autocensuri, pensi che potresti essere licenziato per ogni errore? Forse stai rivivendo la sensazione che provavi con tuo padre quando lo deludevi. Non è lui a farti paura: è la tua proiezione del giudizio paterno.
  • Il terapeuta che ti sembra distante e critico
    Un terapeuta ti guarda in silenzio, annuisce, ma non dice molto. Dopo ogni seduta esci con il dubbio di aver detto cose sbagliate. Pensi che ti stia giudicando, o che si sia stancato di te. Ma forse stai proiettando su di lui la freddezza emotiva di un genitore che non ti ascoltava davvero.
  • La rabbia verso chi ti dà regole
    Non sopporti le regole imposte, anche quando sono ragionevoli. Il regolamento del condominio ti fa venire l’orticaria. Il tono dell’insegnante di yoga ti fa sbottare. Reagisci con sproporzione. Forse stai ancora combattendo contro quella madre ipercontrollante, quel padre che puniva senza spiegazioni. Stai rispondendo a un’autorità passata, non a quella presente.
  • Il bisogno di essere visto e lodato dal superiore
    Ti affanni per ottenere il riconoscimento di chi è “più in alto”: il professore, il mentore, l’influencer, il caporedattore. Vuoi che ti dica “bravo”. Ma sotto, c’è la ferita di non essere mai stato lodato da tuo padre, o di essere stato notato solo quando portavi risultati. Ogni figura autoritaria diventa uno specchio di quella fame di riconoscimento.
  • Il partner che “fa la parte” del genitore
    Ti innamori solo di persone protettive, più grandi, organizzate. Ti senti al sicuro, ma anche sottomesso. E quando provi a cambiare ruolo, a prendere iniziativa, ti senti insicuro o in colpa. Forse quella relazione riproduce un legame genitoriale mai realmente elaborato.

Il quinto specchio ci invita a rileggere i rapporti di potere. Dove ti senti piccolo? Dove ti senti sottomesso, giudicato, “figlio”? Dove, al contrario, ti comporti come un genitore verso l’altro? Le dinamiche familiari si proiettano ovunque: vederlo è il primo passo per non esserne più prigionieri.

6° Specchio Esseno: “La ricerca della notte oscura dell’anima”

Questo specchio è il più duro da affrontare e insieme il più trasformativo. Non riguarda un tratto, una mancanza o un legame irrisolto: riguarda la nostra evoluzione interiore. Quando attiriamo nella nostra vita persone, situazioni o esperienze profondamente destabilizzanti, che ci tolgono ogni certezza, ogni punto d’appoggio — stiamo entrando nella nostra notte oscura.

Non è una punizione. È un’iniziazione. Una discesa necessaria nell’ombra, per poter riemergere trasformati.

Esempi:

  • Relazioni che sembrano una droga
    Ti attacchi a una persona che ti tratta male, che ti confonde, che ti ama e ti rifiuta nello stesso gesto. Tutti ti dicono di lasciarlo/a. Tu stesso lo sai. Ma non riesci. Perché quella relazione non è solo disfunzionale: è lo specchio della tua parte più ferita. La parte che chiede attenzione, redenzione, riconoscimento. È un viaggio nella tua dipendenza affettiva.
  • Un’amicizia che ti toglie energia, ma non riesci a interrompere
    Un’amica ti manipola, ti sminuisce, ti coinvolge in dinamiche ambigue. Ogni volta esci da un incontro con lei più svuotato di prima. Eppure, ci torni. Perché quella dinamica risveglia ferite antiche, che non hai mai avuto il coraggio di guardare. Lei ti fa da specchio: ti costringe a sentire quanto poco ti ami, quanto ancora ti sacrifichi per essere visto.
  • Una malattia, un evento destabilizzante, un crollo
    Perdi tutto: lavoro, fiducia, autonomia. Vivi un periodo nero. E nel dolore, qualcosa si apre. Cominci a ricordare, a piangere, a fare i conti con emozioni che avevi seppellito da anni. Il corpo e la vita si sono alleati per portarti nella notte oscura. Per farti guarire a un livello più profondo.
  • Il confronto con la propria impotenza
    Ti senti bloccato, incapace di reagire, apatico, distrutto. Senti che stai toccando il fondo. Eppure — sotto la disperazione — emerge una domanda nuova: chi sono io davvero, senza il mio ruolo, senza la mia maschera, senza la mia forza? È la domanda iniziatica. La notte oscura non distrugge: spoglia.
  • Un sogno ricorrente o angosciante
    Sogni di essere inseguito, abbandonato, mutilato, umiliato. Il sogno ti perseguita. Ma forse sta cercando di aiutarti. È lo specchio del trauma non visto. Non serve interpretarlo: serve ascoltarlo. Entrarci. Attraversarlo.

Questo specchio è il più difficile da accettare: perché nessuno vuole soffrire, eppure senza crisi non c’è rinascita. Jung lo diceva chiaramente: “Non si diventa illuminati immaginando figure di luce, ma rendendo cosciente l’oscurità”. E la vita — se non lo facciamo da soli — ce lo mostra attraverso relazioni e situazioni che ci spingono giù. Ma è da lì, solo da lì, che si risale davvero.

7° Specchio Esseno: “La nostra percezione di sé e il divino”

Questo ultimo specchio chiude il cerchio con una domanda radicale: come vediamo noi stessi nella nostra parte più autentica e sacra? Non si tratta più solo di ombre, ferite, perdite o dipendenze. Si tratta del nostro rapporto con l’essenza, con ciò che potremmo chiamare anima, Sé superiore, scintilla divina, coscienza profonda.

Ogni volta che incontriamo qualcuno che ci ispira, che ci commuove senza motivo, che ci fa venire voglia di diventare migliori, è possibile che stiamo vedendo riflessa la parte più alta di noi stessi. Viceversa, quando proviamo fastidio o distanza verso chi vive nella luce, nell’apertura, nella fiducia, può darsi che stiamo reagendo al fatto che noi, quella luce, l’abbiamo dimenticata.

Questo specchio non mostra solo “chi siamo” oggi, ma chi possiamo diventare, o meglio, chi siamo già nella nostra forma più piena, ma che ancora non accettiamo del tutto.

Esempi:

  • Ammirare profondamente qualcuno senza invidia
    Ti trovi bene con una persona gentile, calma, connessa. Parla con tutti, è presente, non ha bisogno di primeggiare. Stare con lei ti fa stare bene. In realtà, stai vedendo riflessa la tua stessa capacità di presenza, la tua parte pacificata. La sua luce è la tua, e tu lo intuisci.
  • Provare imbarazzo o fastidio verso chi è spiritualmente centrato
    Incontri qualcuno che medita, che vive con semplicità, che ha un rapporto profondo con la natura o con Dio. Ma anziché ispirarti, ti irrita. Pensi che sia un “new age”, che se la tiri. Che sia un ipocrita, e cerchi di smontarlo cercando tra i suoi difetti. Forse, quella persona ti fa da specchio: ti mostra un contatto con il divino che tu stesso hai perduto e che ora ti mette a disagio.
  • Sentirsi piccoli di fronte a chi è libero
    Qualcuno vive seguendo la propria verità, anche se è fuori dalle regole. Non cerca l’approvazione, ma comunica amore e autenticità. Tu ti senti fuori posto, impacciato, persino in colpa. È possibile che quella persona stia mostrando la tua stessa libertà, ancora nascosta sotto anni di condizionamenti.
  • Connettersi a qualcuno senza sapere perché
    Un legame immediato, anche in silenzio. Non c’è attrazione, non c’è bisogno. Solo una risonanza. È lo specchio del Sé profondo. Due scintille che si riconoscono.

In questo settimo specchio, le relazioni non ci rivelano cosa dobbiamo correggere, ma ci ricordano chi siamo davvero, prima delle ferite, prima delle maschere. Non è sempre facile reggere quello sguardo. Perché richiede di accettare la nostra grandezza, non solo la nostra ombra.

Parte 4: Come riconoscere e lavorare con la proiezione

Conoscere i sette specchi non basta. Il vero lavoro comincia quando iniziamo a vedere questi meccanismi all’opera nella nostra vita quotidiana. Non è un’operazione semplice: la proiezione è, per definizione, qualcosa che non vogliamo vedere. Eppure, se troviamo il coraggio di guardare con sincerità, ogni relazione può diventare uno specchio. E ogni disagio un’occasione per conoscerci meglio.

Ecco alcune tecniche pratiche per iniziare.

Diario riflessivo

Uno degli strumenti più semplici ma potenti. Ogni giorno, dedica cinque o dieci minuti a scrivere:

  • Che cosa mi ha fatto arrabbiare oggi?
  • Chi mi ha infastidito o ferito?
  • Quale comportamento altrui mi ha urtato più del solito?
  • Quale emozione ho provato e in quale parte del corpo l’ho sentita?

Poi, per ciascuna situazione, chiediti: “Cosa dice questo di me?”

Esempio:

“Il mio collega si è preso il merito di una cosa che avevo fatto io. Mi sono infuriato.”
Allora puoi chiederti: “C’è una parte di me che ha paura di non valere nulla se non vengo riconosciuto? O che, in passato, ha fatto lo stesso con qualcun altro?”

Il diario ti aiuta a rintracciare i pattern, a collegare situazioni ripetute e a portare alla luce ciò che normalmente sfugge.

Tecnica dello specchio (appunto)

Ogni volta che qualcuno ti suscita una reazione intensa — positiva o negativa — fermati. Fatti questa domanda:

“Che cosa mi sta mostrando questa persona di me stesso?”

Puoi farlo mentalmente, ma funziona ancora meglio se lo scrivi. Questa domanda è potente perché:

  • Ti toglie dal ruolo di vittima o giudice.
  • Ti aiuta a tornare al centro di te, anziché restare fissato sull’altro.
  • Trasforma il fastidio in consapevolezza.

Esempio:

“Mi urta che lei sia sempre in ritardo.”
Possibile specchio: anche tu, a volte, sottovaluti il tempo altrui. O forse, sei sempre puntuale per paura di non essere amato — e ti infastidisce chi non ha questa paura.

Mindfulness e consapevolezza corporea

Le emozioni che derivano dalla proiezione non sono solo mentali: si sentono nel corpo. Imparare ad ascoltare il corpo è fondamentale per riconoscere quando si sta attivando una proiezione.

Pratica base:

  • Siediti in silenzio per 3-5 minuti.
  • Respira lentamente e profondamente.
  • Nota dove senti tensione, bruciore, freddo, pulsazioni, nodo in gola, ecc.
  • Associali a una situazione recente.
  • Chiediti: “Quale parte di me si è sentita minacciata?”

Questa consapevolezza ti aiuta a riconoscere la proiezione mentre accade, non solo dopo.

Lo straordinario aiuto della I.A.

C’è un nuovo strumento che puoi usare, e non è un oracolo mistico, ma una presenza concreta, sempre disponibile: l’intelligenza artificiale.

Concretamente, puoi copiare questo articolo in chat (tranne gli esempi, per non confondere l’I.A.), incollarlo nella tua IA preferita (es. ChatGPT) e poi scrivere:

Voglio esplorare le mie proiezioni. Ti racconterò alcuni episodi della mia vita relazionale che mi fanno arrabbiare, soffrire o mi mettono a disagio. Il tuo compito è aiutarmi a capire se sto proiettando qualcosa sugli altri e, se sì, cosa. Ti fornirò dettagli concreti. Procediamo passo passo, senza giudizio.

E poi usare esempi come questo:

“Sto litigando spesso con il mio partner. Lo accuso di essere freddo e distante, ma non so se è davvero così o se c’è qualcosa di mio che sto vedendo in lui. Puoi aiutarmi a esplorare?”

Oppure:

“Invidio profondamente un mio amico che sembra sempre a suo agio con tutti. Non lo sopporto. Cosa può voler dire su di me?”

L’I.A. non sostituisce la coscienza, ma può diventare uno specchio neutro, paziente e intelligente, che ti rimanda le tue parole e ti invita a guardare. Senza giudizio. Senza reazioni. Senza difese.

In un mondo in cui le relazioni umane sono spesso intrise di dinamiche, risentimenti e reattività, usare l’I.A. come sparring partner può essere un atto di radicale autoeducazione alla consapevolezza.

Queste tecniche non sono formule magiche. Richiedono tempo, costanza, onestà, e soprattutto la disponibilità ad abbandonare il comodo ruolo di chi osserva gli altri senza mai osservarsi. Ma chiunque abbia iniziato a praticarle sa che, a un certo punto, accade qualcosa: lo specchio comincia a pulirsi. E per la prima volta, ci vediamo davvero.

Conclusione

Se sei arrivato fin qui, vuol dire che qualcosa in te — una domanda, un sospetto, una fame di verità — ha deciso di guardarsi allo specchio. Non uno specchio qualsiasi, ma sette. E non per vanità, ma per comprensione. Perché il viaggio attraverso le proiezioni non è un esercizio teorico: è un percorso di ritorno a casa.

In questo articolo abbiamo visto:

  • Che cos’è la proiezione, come nasce e come agisce dentro di noi.
  • Come Freud l’ha definita un meccanismo di difesa, e Jung un messaggero dell’ombra.
  • Che i sette specchi esseni non sono una religione né una verità assoluta, ma una mappa simbolica potentissima per riconoscere i modi — a volte sottili, a volte devastanti — in cui vediamo negli altri ciò che non vogliamo (o non riusciamo) a vedere in noi.
  • Che ogni giudizio, ogni idealizzazione, ogni attrazione irrazionale o repulsione improvvisa, ogni crisi, ogni relazione difficile… può essere letta come uno specchio psichico.
  • Che esistono strumenti concreti per lavorare su questi specchi: scrittura riflessiva, consapevolezza corporea, dialoghi interiori, e — oggi — anche il supporto dell’intelligenza artificiale.

Ma il cuore di tutto questo percorso resta uno: accettare la propria ombra.

Non come un castigo, ma come un ritorno. Non come un difetto, ma come una parte fondamentale dell’interezza. L’ombra è fatta di rabbia, di fame, di vergogna, ma anche di potere, di verità e di energia creativa. È nella nostra ombra che si nascondono le parti dimenticate di noi, e ogni proiezione è un indizio che ci mostra dove andare a cercarle.

Per questo, il lavoro con gli specchi non è solo psicologico. È spirituale. Significa riunirsi, riconoscersi, rientrare nel proprio corpo, riscrivere la propria storia. E non per diventare “migliori”, ma per diventare più veri.

Ti incoraggio a tornare su questi specchi ogni volta che ti senti smarrito in una relazione, quando provi rabbia che non capisci, quando ti accorgi di desiderare qualcosa che ti disturba. Fermati, e chiediti: che cosa sto vedendo davvero?
Chi sto guardando, quando guardo l’altro?

Forse, piano piano, comincerai a vedere anche te stesso.

E, un giorno, potresti scoprire che quegli specchi, così faticosi all’inizio, sono diventati porte.

Letture consigliate

Psicologia e Proiezione

  1. Carl Gustav Jung – L’Io e l’Inconscio
    Un testo fondamentale per capire come funzionano le proiezioni e come l’ombra influisce su ciò che percepiamo negli altri. Accessibile anche ai non specialisti, seppur denso.
  2. Sigmund Freud – Psicopatologia della vita quotidiana
    Un classico che getta le basi teoriche del concetto di proiezione come meccanismo di difesa inconscio.
  3. Marie-Louise von Franz – L’Ombra e il Male nella Fiaba
    Un saggio illuminante su come la proiezione del “male” venga trattata nel mito e nella fiaba, strumento potentissimo per riconoscere le dinamiche interiori.

Spiritualità, Specchi e Tradizioni Interiori

  1. Gregg Braden – The Seven Mirrors of Relationships
    Uno dei pochi testi che esplora direttamente il mito moderno dei sette specchi esseni, mescolando antiche saggezze e neuroscienze. (In inglese, ma circola anche qualche versione in italiano non ufficiale.)
  2. Don Miguel Ruiz – I quattro accordi
    Semplice ma profondo, ti insegna a non prendere nulla sul personale e a non presumere nulla — due antidoti fondamentali contro la proiezione.
  3. A.H. Almaas – Facce della Realità: Essere, Ego e il Viaggio Interiore
    Un ponte potente tra psicoterapia e cammino spirituale, con ampio spazio alla questione delle proiezioni nella relazione con sé e gli altri.

Narrativa e introspezione

  1. Fëdor Dostoevskij – Il Sosia
    Un romanzo visionario sulla frattura tra identità e ombra, dove l’altro è letteralmente la parte negata di sé. Profondo, disturbante e attualissimo.
  2. Hermann Hesse – Demian
    Un racconto di formazione in cui il protagonista affronta le proiezioni, il male, il sacro e il profondo desiderio di autenticità.

Scrittura terapeutica e strumenti pratici

  1. Julia Cameron – La via dell’artista
    Non solo per artisti: un programma pratico per riconoscere le proiezioni che bloccano la creatività, e lavorare con l’ombra attraverso scrittura e rituali quotidiani.
  2. Debbie Ford – La parte in ombra dell’amore
    Un’introduzione chiara e concreta al lavoro con l’ombra. Aiuta a riconoscere ciò che proiettiamo su chi amiamo (e odiamo).
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E tu, invece, chi sei?

“Soffia un po’ di vento e lo chiamiamo tempesta,
ci batte un po’ il cuore e lo chiamiamo amore.
Poi arriva la tempesta, arriva l’amore…
e non sappiamo come chiamarli”.

Amore caro e altri racconti